Montaigne
si ritira dal mondo per guadagnare la propria libertà personale. Questa
separazione, però, non è dettata né dal desiderio di una vita ascetica né dal
disprezzo per il mondo stesso. Per poter essere liberi è necessario sottrarsi
al dominio della presunzione che governa la vita degli uomini, per poi
riaffacciarsi al mondo con gli occhi e con la mente del sapiente - secondo la
pratica dei saggi dell'età ellenistica -. Cosí i libri e le finestre della
biblioteca di Montaigne garantiscono un permanente rapporto con la realtà
esterna.
R.
Chartier, Le pratiche della scrittura, 4
Letto
in silenzio (almeno dalle élite), posseduto sovente da piú individui e
in gran numero, al centro della sociabilità e dell'esperienza individuale
(almeno nei paesi protestanti), il libro diviene cosí il compagno privilegiato
di una intimità nuova. E per coloro che se ne possono permettere una, la
biblioteca costituisce ormai il luogo per eccellenza dell'appartarsi, dello
studio e della meditazione solitari. Un esempio fra tanti: Montaigne. Nel 1579,
egli vende la sua carica di consigliere al Parlamento di Bordeaux e si reca a
Parigi per far dare alle stampe gli scritti del suo amico La Boétie; l'anno
successivo di ritorno al suo castello, fa dipingere un'iscrizione sui muri
della sua biblioteca che è “fra le piú belle librerie di villaggio”.
L'iscrizione (in latino) dice: “Nell'anno di Cristo 1571, all'età di trentotto
anni, alla vigilia delle calende di marzo, già molto tediato dalla schiavitú
della corte del parlamento e dalle cariche pubbliche, sentendosi però ancora
nel pieno della vita, giunse alla conclusione di riposarsi sul seno delle dette
Vergini nella calma e nella sicurezza. Egli vi percorrerà i giorni che gli
restano da vivere. Sperando che il destino gli consentirà di portare a termine
questa esistenza, questi dolci ritiri paterni, egli li ha consacrati alla sua
libertà (libertas), alla sua tranquillità (tranquillitas) e al
suo riposo (otium)”.
La
“libertà” è, dunque, in primo luogo un eremo al di fuori del mondo; essa è
conquistata lontano dal pubblico. La descrizione che ne dà Montaigne nel De
trois commerces (Saggi, libro III, cap. III) insiste molto su questo
luogo di ritiro: “A casa mia, mi metto un po' piú spesso in disparte nella mia
libreria”; o piú oltre, dopo aver segnalato che questo “luogo ritirato” è il
piú aerato della casa, “mi piace di essere un po' inaccessibile e in disparte
tanto per il frutto dell'esercizio che per allontanare da me la folla”.
Separata dall'alloggio principale da un cortile che bisognava attraversare, la
biblioteca è dunque il luogo dove si svolge la migliore delle relazioni, quella
intrattenuta dall'uomo con i suoi libri - quindi con se stesso. Ma ritiro non
significa reclusione o rifiuto del mondo. La “libreria” di Montaigne è un luogo
dal quale si vede senza necessariamente essere visti e che conferisce potere a
colui che vi si ritira. Potere sulla casa e sulla sua gente: “Mi metto un po'
piú spesso in disparte nella mia libreria da dove comodamente do ordini alla
mia casa. Sono sull'ingresso e vedo sotto di me il mio giardino, la
corte e la maggior parte dei locali della mia casa”. Potere sulla natura che si
offre allo sguardo: “Essa ha tre finestre di prospetto ampio e libero”. Potere
sulle conoscenze accumulate nei libri raggiunti con un sol colpo d'occhio: “La
figura [la forma della biblioteca] è rotonda e non ha di piatto che quello che
serve alla mia tavola e al mio stare a sedere, e viene ad offrirmi per la sua
curvatura in un colpo d'occhio tutti i miei libri, schierati su cinque file
tutto intorno”. “In un sol colpo d'occhio” Montaigne può percorrere anche le
frasi greche e latine dipinte ai lati della sua biblioteca - quelle riprese da
Stobeo agli inizi del ritiro e in seguito, nel 1575 o 1576, parzialmente
ricoperte da altre prese da Sesto Empirico o dalla Bibbia.
Questa
tensione fra la doppia volontà di sottrarsi alla “fretta” e di conservare il
comando sul mondo, rinvia senza dubbio alla libertà assoluta autorizzata dal
contatto con i libri, partendo dalla totale padronanza che l'individuo può
avere di se stesso, senza vincoli né controlli: “Quivi è la mia residenza. Io
provo a rendermene il dominio puro e a sottrarre solo questo cantuccio alla
comunione e coniugale e filiale e civile”. Le ore passate nella biblioteca
assicurano dunque la doppia separazione costitutiva della nozione stessa di
privatizzazione nell'età moderna: separazione rispetto al pubblico, alle
preoccupazioni proprie alla città e allo stato; separazione in rapporto alla
famiglia, alla casa, alla sociabilità dell'intimità domestica. Qui l'individuo
è libero del suo tempo, dei suoi svaghi e dei suoi studi: “Sfoglio ora un libro
ora un altro, senza ordine e senza programma, qua e là; un momento fantastico,
un momento annoto e detto passeggiando, le mie idee come queste”. “E detto”: è
ben chiaro che il vecchio modo di comporre, oralizzato e ambulatorio che
richiede la presenza di uno scrivano, non è considerato come contraddittorio
con il senso dell'intimità dato dalla familiarità con i libri posseduti,
percorsi, preferiti.
R.
Chartier, Le pratiche della scrittura, in Ph. Ariès-G. Duby (a cura di),
La vita privata dal Rinascimento all'illuminismo, trad. di G. Vernole,
Laterza, Bari, 1987, pagg. 97-99