Fra coloro
che hanno cercato di comprendere le origini profonde degli episodi che hanno
caratterizzato la storia del nostro secolo e il coinvolgimento in essa degli
intellettuali vi è N. Cohn, del quale forse non è inutile ricordare l’origine
ebraica. Fin dai primi anni del dopoguerra egli iniziò a studiare il fenomeno
del rivoluzionarismo millenaristico nel Medioevo. Dopo un lungo lavoro di
ricerca, nel 1957 pubblicò I fanatici dell’Apocalisse, che suscitò un
grande interesse nel mondo anglosassone.
In questa
lettura Cohn afferma che nei movimenti totalitari del XX secolo sono presenti
elementi tipici del millenarismo, un fenomeno che risale al Medioevo ed in
particolare alle dottrine del monaco Gioacchino da Fiore, e che il modo di
pensare di Hitler, Rosenberg, Marx e degli altri era escatologico.
N. Cohn, The
pursuit of the Millennium, 1957 [I
fanatici dell’Apocalisse]
Ma tale mistica salvazionista si distingue dalle altre in quanto che la salvezza promessa è insieme terrena e collettiva. È su questa terra che nascerà la Città celeste e le sue gioie coroneranno non le tribolazioni dell’anima singola, bensí le gesta epiche di un popolo eletto. E tali movimenti rivoluzionari si distinguono dagli altri per il carattere illimitato dei fini e delle promesse. L’immaginazione finisce cosí per attribuire a un conflitto sociale un’importanza unica e per distinguerlo da tutti gli altri conflitti della storia: è un cataclisma da cui l’universo uscirà redento e trasfigurato. Ecco qui dunque ciò che caratterizza i due grandi movimenti totalitari del nostro tempo, il comunismo e il nazismo, soprattutto nella fase della loro nascita rivoluzionaria. Essi si distinguono dai partiti politici europei tradizionali appunto perché attribuiscono a determinate speranze o a determinati conflitti sociali un significato trascendente, il mistero e la maestosità del dramma escatologico. In tal senso, si può considerare questo libro come il prologo di uno studio sui grandi sconvolgimenti rivoluzionari del nostro secolo.
Gli stessi ideologi comunisti e nazisti hanno avvertito l’esistenza di questa parentela. Alfred Rosenberg consacrò un lungo capitolo del suo Mito del XX secolo a un’esposizione entusiastica, quantunque poco sicura, delle teorie mistiche tedesche del XVI secolo e rese un particolare omaggio ai begardi e alle beghine oltre che ai Fratelli del Libero Spirito. Uno storico nazista si mise, per parte sua, a interpretare il messaggio del Rivoluzionario dell’Alto Reno. Quanto ai comunisti, essi continuano ad arricchire di numerosi volumi il culto di Thomas Müntzer inaugurato da Engels. Ma se, in queste opere, i prophetae di un mondo svanito appaiono come dei lontani precursori, è perfettamente possibile fare il ragionamento inverso e concludere che, malgrado l’impiego delle tecniche piú moderne, il comunismo e il nazismo si sono ispirati a miti profondamente arcaici. Tale è appunto il caso. Si può dimostrare (ma una dimostrazione particolareggiata richiederebbe un altro volume) che per molti aspetti l’ideologia comunista e quella nazista, estremamente diverse come sono, devono entrambe molto a quell’antico corpo dottrinale che costituiva la tradizione apocalittica popolare.
È vero che nel XIX secolo tale tradizione fu reinterpretata in termini moderni. Un modo di pensare francamente e ingenuamente basato sul soprannaturale fu a poco a poco sostituito da un atteggiamento secolare, che pretendeva di essere addirittura scientifico, e le rivendicazioni un tempo formulate in nome della volontà di Dio furono allora avanzate in nome dei fini della storia. Ma l’esigenza restò la stessa: purificare il mondo eliminando gli agenti della sua corruzione.
Per quanto concerne il nazismo, l’ispirazione apocalittica balza subito agli occhi. Hitler fu considerato dai suoi seguaci come un messia destinato a rinnovare ogni cosa e il Millennio nazista – quell’impero che egli, in una frase famosa, aveva promesso di instaurare per mille anni – doveva essere un impero in cui (proprio come nei sogni del Rivoluzionario dell’Alto Reno) la razza dei signori, la razza germanica, avrebbe dominato le razze inferiori, ridotte in schiavitú. Il sangue ariano, secondo Rosenberg, era la sostanza stessa della divinità; e coloro nei quali quel sangue era reputato piú puro – per esempio le S.S. – erano incoraggiati a considerarsi dei superuomini aventi diritto al dominio assoluto della terra. Ma, prima che quell’ideale potesse realizzarsi, bisognava affrontare un grande conflitto – un conflitto su scala mondiale, un conflitto che non avrebbe fatto di Hitler e dei suoi soci dei nazionalisti comuni, e neppure dei razzisti comuni. La loro immaginazione era ossessionata da un mito del tutto particolare: essi erano convinti che il “giudaismo internazionale” stesse compiendo uno sforzo gigantesco e segreto per dominare e infine distruggere il mondo. E vedevano veramente in sé dei salvatori designati da Dio a liberare l’umanità ariana, che era la sola a contare, da quel mostruoso pericolo. Hitler aveva detto, parecchi anni prima del suo avvento al potere: “Se l’ebreo, con l’aiuto della sua professione di fede marxista, riporta la vittoria sui popoli di questo mondo, il suo diadema sarà la corona funebre dell’umanità. Allora il nostro pianeta ricomincerà a percorrere l’etere come ha fatto milioni d’anni fa: non ci saranno piú uomini sulla sua superficie... Ecco perché credo di agire secondo lo spirito dell’Onnipotente, nostro creatore: perché, difendendomi contro l’ebreo, combatto per difendere l’opera del Signore”.
Il tono religioso è degno di nota e acquista interamente il suo senso se lo si collega a un libro a cui i nazisti attribuivano un’enorme importanza: I Protocolli dei savi di Sion. Una parte della storia di questa famosa opera è abbastanza ben nota. Essa conterrebbe un piano minuzioso per l’instaurazione della dominazione ebraica su tutte le nazioni della terra – un piano che, a quanto si vuol far credere, un misterioso gruppo di ebrei avrebbe redatto e (stupefacente imprudenza) messo per iscritto a Basilea nel 1897. In realtà, il libello si è rivelato un falso volgare, fabbricato da cima a fondo nella Bibliothèque Nationale di Parigi, nel 1897 o 1898, su ordine del generale Rachkovski, capo della sezione estera della polizia segreta russa, l’Okhrana. Fatto meno noto: esso cominciò a esercitare una certa influenza solo a partire dal momento in cui un bizzarro profeta russo vagante lo incorporò, in perfetta buona fede, nella sua opera religiosa sull’imminente venuta dell’Anticristo: Il grande nel piccolo. L’Anticristo considerato come una prossima eventualità politica (Tsarskoe Selo 1905).
In Russia i rapporti fra ebrei e cristiani rimasero fino al XX secolo praticamente quelli che erano stati nell’Europa medievale, e lo stesso fu per le superstizioni dei cristiani nei riguardi degli ebrei. I Protocolli vennero accettati dagli ufficiali russi fanaticamente ortodossi come la rivelazione di una congiura diabolica contro la Cristianità. Molti di essi si erano riuniti nella Confraternita di San Michele Arcangelo – un’associazione in cui il nome si riferiva all’apocalittica lotta finale e l’emblema rappresentava, sotto la corona imperiale, il trionfo dell’arcangelo sul drago dell’Apocalisse. Agli occhi di costoro, la rivoluzione bolscevica del 1917 non era altro che un assalto di Satana contro l’ordine divino; gli ebrei, fra i capi bolscevichi, erano i soldati dell’Anticristo il cui regno stava per essere instaurato nella Santa Russia. Furono uomini del genere che, fuggendo dalla rivoluzione, introdussero i Protocolli in Germania. Un oscuro agitatore, Adolf Hitler, si impadroní immediatamente del libello che piú tardi sarebbe stato diffuso in milioni di esemplari in tutto il mondo.
Alla vigilia della Seconda guerra mondiale Henri Rollin scriveva: “Si possono considerare i Protocolli come l’opera piú diffusa nel mondo dopo la Bibbia... Soprattutto in Germania, questo apocrifo è diventato la base di una mistica cieca, appassionata, aggressiva..., persino impronta di quel messianismo che all’ardore fanatico dei neofiti ispira la convinzione di una missione sacra voluta dal destino”.
Era un giudizio penetrante. Benché Hitler e Rosenberg avessero reinterpretato i Protocolli dal punto di vista razzista, intorbidando tutti gli elementi esplicitamente religiosi, l’atmosfera apocalittica rimase intatta. Già nel 1923 Rosenberg aveva predetto un nazismo che sarebbe stato un movimento internazionale piú che tedesco, mirante a una rivoluzione mondiale, con una parola d’ordine come: “Antisemiti di tutti i paesi, unitevi!”. Pure internazionale era il suo nemico: quel giudaismo che si diceva già controllasse segretamente la Francia, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, i partiti democratici di tutti i paesi, e la Chiesa cattolica; che infieriva a volto scoperto nell’URSS; che stava per estendere il suo impero satanico al mondo intero. Gli ebrei sono i soldati del demonio; la loro tirannia deve peggiorare di anno in anno fino al giorno della lotta finale, coronata dal loro annientamento, che rigenererà il mondo. Questo mito secolare raramente trovò un’espressione cosí chiara come nel commento di Rosenberg ai Protocolli di Sion (1923): “Mentre crolla l’universo, una nuova era comincia... Uno dei segni preannuncianti l’imminente lotta per il regime mondiale è l’identificazione del demonio che è causa dei nostri mali attuali. Allora si apre la via dei tempi nuovi”.
In Mein Kampf Hitler usa un linguaggio altrettanto apocalittico: “Se il nostro popolo e il nostro stato cadono vittime di quei tiranni dei popoli che sono gli ebrei assetati di sangue e avidi di denaro, tutta la terra sarà presa nei tentacoli di quelle idre; ma se la Germania sfugge al loro avvinghiamento, si potrà ritenere che il maggior pericolo corso da tutti i popoli non minaccerà piú il mondo intero... E l’ebreo... proseguirà dunque il suo fatale cammino finché non gli si opporrà un’altra forza che, in una lotta titanica, respinga a Lucifero colui che dà l’assalto al cielo”.
Ecco la visione che spiega la decisione, altrimenti incomprensibile, di intraprendere, nel pieno di una guerra disperata e a prezzo di un enorme sacrificio di manodopera, materiali e mezzi di trasporto, lo sterminio di sei milioni di ebrei, uomini, donne e bambini. Ed è facile vedere che si tratta della stessa visione che aveva animato Emico di Leiningen e il “Maestro d’Ungheria” tanti secoli prima.
Mentre l’ideologia nazista era francamente oscurantista e atavica, l’ideologia comunista si è sempre vantata di essere “scientifica” e “progressista”; ciò ha contribuito a mettere in ombra il fatto che anch’essa deve molto a un’escatologia arcaica. Questo debito non è meno importante, e diverso d’aspetto. In Marx appare principalmente nella convinzione che la storia sia un corso tracciato, ormai prossimo all’ultima era, era di “libertà” in cui gli uomini saranno liberati per sempre da ogni subordinazione e costrizione. Questa concezione della storia fu largamente diffusa e variamente esposta dai filosofi del XVIII e XIX secolo; prima di Marx, essa era stata eloquentemente sostenuta da Lessing, Schelling e Auguste Comte, per esempio. La sua origine è tuttavia molto anteriore e Lessing, che fu il primo a darne una versione moderna, sapeva bene di riprendere una tradizione profetica instaurata da Gioacchino da Fiore.
Marx si distingue dai suoi predecessori per la convinzione che 1’“era di libertà” non sopraggiungerà pacificamente, bensí in seguito a una sollevazione del proletariato e a un’espropriazione della borghesia. Ciò che l’indusse a pensare a quel modo fu evidentemente lo spettacolo della società industriale della metà del XIX secolo, in cui il proletariato era non solo vergognosamente sfruttato, ma anche avviato a un rapido incremento. L’attesa di una rivoluzione proletaria nei paesi industriali, che doveva rivelarsi vana, era logicamente concepibile per un sociologo politico. D’altronde, fu un modo di pensare escatologico, non sociologico, che portò Marx a immaginare che una simile rivoluzione avrebbe avuto per risultato “un salto fuori del regno della necessità in quello della libertà”, “la fine della preistoria e l’inizio della storia” o, piú precisamente, di una società senza classi, senza governo, una società in cui ciascuno avrebbe fatto il lavoro che gli piaceva e avrebbe ricevuto come salario solo ciò di cui aveva bisogno. Tratti familiari del Millennio egualitario in cui, come nei sogni dei prophetae medievali, sono i poveri che svolgono un ruolo di messia collettivo.
N. Cohn, I fanatici dell’Apocalisse, Comunità, 1965, pagg. 342-346