Giorgio
Colli (1917-1979) è convinto che tutta l’opera di Platone – la sua filosofia –,
nonostante l’accesa critica nei confronti dell’arte, scaturisca da una profonda
vocazione artistica. A dispetto del Lógos e dell’ordine – che
Platone vede governare il Mondo delle Idee e anche il mondo sensibile – la
concezione della realtà che emerge dal suo pensiero fa convivere “intuizioni
totali [...] addirittura antitetiche fra loro”.
Platone
dal canto suo è dominato dal dèmone letterario, legato al filone retorico, e da
una disposizione artistica che si sovrappone all’ideale del sapiente. Egli
critica la scrittura, critica l’arte, ma il suo istinto forte è stato quello
del letterato, del drammaturgo. La tradizione dialettica gli offre
semplicemente il materiale da plasmare. E neppure vanno dimenticate le sue
ambizioni politiche, qualcosa che i sapienti non avevano conosciuto.
Dall’impasto di queste doti e di questi istinti sorge la creatura nuova, la
filosofia. L’istinto drammatico di Platone gli fa attraversare, come personaggi
con cui di volta in volta egli si immedesima, molte intuizioni totali,
esclusive, talora addirittura antitetiche tra loro, della vita, del mondo, del
comportamento dell’uomo.
La
“filosofia” sorge da una disposizione retorica accoppiata a un addestramento
dialettico, da uno stimolo agonistico incerto sulla direzione da prendere, dal
primo presentarsi di una frattura interiore nell’uomo di pensiero, in cui si
insinua l’ambizione velleitaria alla potenza mondana, e infine da un talento
artistico di grande livello, che si scarica deviando tumultuoso e tracotante
nell’invenzione di un nuovo genere letterario.
(G. Colli, La nascita della filosofia, Adelphi,
Milano, 199111, pagg.
114-115)