Condillac, Tutte le conoscenze hanno origine dalle sensazioni

Dopo aver affermato che il suo scopo è quello di dimostrare che tutto deriva dai sensi, Condillac sottolinea le differenze fra la sua opera e quella di Aristotele - pur in una linea di continuità che passa attraverso il contributo fondamentale di Locke -, e insiste sui progressi che la sua ricerca è in grado di apportare nel campo della conoscenza.

 

É. B. de Condillac, Trattato delle sensazioni, Estratto ragionato

 

Lo scopo principale di quest'opera è fare vedere come tutte le nostre conoscenze e tutte le nostre facoltà derivino dai sensi, o, per parlare piú esattamente, dalle sensazioni: infatti, in verità, i sensi ne sono soltanto la causa occasionale. Essi non sentono; solo l'anima sente attraverso gli organi, e dalle sensazioni che la modificano trae tutte le conoscenze e tutte le facoltà.

Questa ricerca può contribuire infinitamente agli sviluppi dell'arte di ragionare; essa sola può svilupparla fin dai primi princípi. In effetti, non scopriremo una maniera sicura di guidare costantemente i nostri pensieri, se non sappiamo come si sono formati. Che cosa ci si può attendere da quei filosofi che ricorrono continuamente a un istinto che non sarebbero in grado di definire? Ci illuderemo di poter prosciugare la fonte dei nostri errori, finché la nostra anima agirà cosí misteriosamente? occorre dunque che osserviamo noi stessi fin dalla prima sensazione che proviamo, occorre distinguere la ragione delle nostre prime operazioni, risalire all'origine delle nostre idee, rintracciarne la genesi, seguirle fino ai limiti che la natura ci ha prescritto: in una parola occorre, come dice Bacone, rinnovare tutta l'intelligenza umana.

Ma, mi si obietterà, è detto tutto, quando si è ripetuto con Aristotele che tutte le nostre conoscenze provengono dai sensi. Non esiste uomo d'ingegno che non sia capace di trarre questa conseguenza che credete cosí necessaria e nulla è cosí inutile quanto indugiarsi con Locke su questi particolari. Aristotele mostra molto piú genio, quando si accontenta di racchiudere tutto il sistema delle nostre conoscenze in una massima generale.

Aristotele, sono d'accordo, era uno dei piú grandi geni dell'antichità, e quelli che fanno questa obiezione hanno indubbiamente molto ingegno. Ma per convincersi di quanto siano poco fondati i rimproveri che muovono a Locke, e di quanto sarebbe loro utile studiare questo filosofo invece di criticarlo, basta sentirli ragionare o leggere le loro opere, se hanno scritto di argomenti filosofici.

Se questi uomini unissero a un metodo esatto molta chiarezza, molta precisione, avrebbero un certo diritto di considerare inutili gli sforzi che fa la metafisica per conoscere lo spirito umano, ma potrebbero essere chiaramente sospettati di stimare cosí profondamente Aristotele solo per poter disprezzare Locke, e di disprezzare quest'ultimo solo con la speranza di screditare tutti i metafisici.

Da molto tempo si dice che tutte le nostre conoscenze derivano dai sensi. Tuttavia i discepoli di Aristotele erano cosí lontani dal conoscere questa verità, che, nonostante l'ingegno che parecchi di loro avevano avuto in sorte, non l'hanno mai saputa sviluppare, e dopo parecchi secoli non l'avevano ancora scoperta.

Spesso un filosofo si dichiara per la verità senza conoscerla: ora segue la corrente, l'opinione del gran numero, ora, piú ambizioso che docile, resiste, combatte e talvolta arriva a trascinare la moltitudine.

Cosí si sono formate quasi tutte le sètte che ragionavano spesso a caso, ma bisognava pure che talvolta alcune avessero ragione, visto che si contraddicevano sempre.

Ignoro quale sia stato il motivo che spinse Aristotele ad esporre il principio sull'origine delle nostre conoscenze. Ma ciò che so è che non ci ha lasciato nessuna opera in cui questo principio sia sviluppato, e che, d'altra parte, Aristotele cercava di essere completamente contrario alle opinioni di Platone.

Immediatamente dopo Aristotele viene Locke; infatti non bisogna contare gli altri filosofi che hanno scritto sullo stesso argomento. Questo inglese vi ha senza dubbio profuso molta luce, ma vi ha lasciato anche oscurità. Vedremo che la maggior parte dei giudizi che si mescolano a tutte le nostre sensazioni gli sono sfuggiti, che non ha conosciuto quanto bisogno abbiamo di imparare a toccare, a vedere, a sentire, ecc., che tutte le facoltà dell'anima gli sono parse qualità innate e che non ha sospettato che potessero trarre la propria origine dalla stessa sensazione [...].

Locke è il primo ad aver notato che l'inquietudine causata dalla privazione di un oggetto è il principio delle nostre determinazioni. Ma egli fa nascere l'inquietudine dal desiderio. Avviene esattamente il contrario. D'altra parte mette tra il desiderio e la volontà piú differenza di quanta non ce ne sia in effetti. Infine considera l'influenza dell'inquietudine solo in un uomo che ha l'uso di tutti i sensi e l'esercizio di tutte le sue facoltà.

Restava dunque da dimostrare che questa inquietudine è il principio primo che ci dà le abitudini di toccare, di vedere, di ascoltare, di sentire, di gustare, di confrontare, di giudicare, di riflettere, di desiderare, di amare, di odiare, di temere, di sperare, di volere: per essa, in una parola, nascono tutte le abitudini dell'anima e del corpo.

Per questo era necessario risalire piú in alto di quanto non abbia fatto questo filosofo. Ma nell'impotenza in cui ci troviamo di osservare i nostri primi pensieri e i nostri primi movimenti, bisognava indovinare e, di conseguenza, bisognava fare differenti supposizioni.

Tuttavia non era ancora abbastanza risalire alla sensazione. Per scoprire lo sviluppo di tutte le nostre conoscenze e di tutte le nostre facoltà, era importante distinguere ciò che dobbiamo a ogni senso, ricerca che non era stata ancora tentata. Da ciò si sono formate le quattro parti del Trattato sulle sensazioni.

La prima, che tratta dei sensi che di per sé non giudicano gli oggetti esteriori.

La seconda, del tatto, o del solo senso che giudica di per sé gli oggetti esteriori.

La terza, del modo in cui il tatto insegna agli altri sensi a giudicare gli oggetti esteriori.

La quarta, dei bisogni, delle idee e dell'operosità di un uomo isolato che gode di tutti i propri sensi.

Tale esposizione mostra evidentemente che lo scopo di quest'opera è far vedere quali sono le idee che dobbiamo a ogni senso e come, quando si uniscono, ci danno tutte le conoscenze necessarie alla nostra conservazione.

Dalle sensazioni nasce dunque tutto il sistema dell'uomo: sistema completo le cui parti sono tutte legate e si sostengono reciprocamente. È una concatenazione di verità: le prime osservazioni preparano quelle che devono seguirle, le ultime confermano quelle che le hanno precedute. Se, per esempio, leggendo la prima parte, si comincia a pensare che l'occhio potrebbe pure non giudicare di per sé grandezze, figure, situazioni e distanze, si è completamente convinti, quando si impara nella terza parte in che modo il tatto dà all'occhio tutte queste idee.

Se questo sistema poggia su supposizioni, tutte le conseguenze che se ne traggono sono testimoniate dalla nostra esperienza. Non c'è uomo, per esempio, limitato all'odorato: un simile animale non sarebbe in grado di vegliare sulla propria conservazione. Ma, per dimostrare la verità dei ragionamenti che abbiamo fatto osservandolo, basta che un po' di riflessione su noi stessi ci faccia riconoscere che potremmo dovere all'odorato tutte le idee e tutte le facoltà che scopriamo in quest'uomo, e che con questo solo senso non ci sarebbe possibile acquistarne altre. Ci si sarebbe potuti accontentare di considerare l'odorato facendo astrazione dalla vita, dall'udito, dal gusto e dal tatto: se si sono immaginate supposizioni, è perché rendono questa astrazione piú facile.

 

(É. B. de Condillac, Opere, UTET, Torino, 1976, pagg. 555-558)