Questa sorta di introduzione non
compare che in un manoscritto, che soltanto nel secolo scorso fu riconosciuto
originale di Copernico. Essa è un inno alla bellezza dell’universo (il “dio
visibile”) e alla grande dignità dell’astronomia, “scienza piú divina che
umana”.
N. Copernico, De revolutionibus
orbium coelestium, I, [proemio]
Molte e svariate sono le passioni
per le lettere e per le arti che valgono a corroborare l’ingegno degli uomini;
ma fra esse io reputo che si debbano abbracciare e coltivare con l’amore piú
grande quelle che concernono le cose che in massimo grado sono belle e
meritevoli di essere conosciute. E sono tali quelle che trattano a fondo i
divini movimenti dell’universo e il corso degli astri, le loro grandezze e
distanze, il loro sorgere e tramontare, e le cause di tutti gli altri fenomeni
celesti, e che ne spiegano infine l’intera armonia. Che cosa c’è infatti di piú
bello del cielo, il quale contiene per l’appunto cose (che sono) tutte belle? E
perfino le stesse parole Cielo e Mondo stanno a significarlo; in
latino infatti con questa si indica ciò che è pulito e ornato,
con quella ciò che è cesellato. Per l’assoluto superiorità del cielo, la maggior parte dei filosofi chiamarono nello
stesso modo il dio visibile. Pertanto se si volessero classificare le varie
arti sulla base della materia di cui trattano, sarebbe di gran lunga la prima
questa che certuni chiamano astronomia, altri astrologia, mentre molti degli
antichi la chiamano addirittura la somma delle matematica. Proprio questa per
l’appunto, alla testa delle arti liberali, la piú degna per un uomo libero, è
sostenuta dal concorso di quasi tutte le branche della matematica. Aritmetica,
Geometria, Ottica, Geodesia, Meccanica e altre ancora, se ne esistono, sono
tutte tributarie di quella. E siccome è proprio di tutte le arti migliori
tenerci lontani dai vizi e dirigere la mente dell’uomo verso cose piú buone,
questa, oltre a procurare un incredibile piacere dello spirito, può assicurare
tutto ciò piú copiosamente. Infatti, forse che non sarà stimolato verso le cose
migliori e verso l’ammirazione per l’artefice di tutte le cose nel quale vi è
l’intera felicità e tutto il bene, colui che, con assidua contemplazione e
addirittura con familiarità, starà appresso a queste cose, e le vedrà ordinate
nel migliore dei modi e guidate dal disegno di Dio? E non è forse vero che il
divino salmista non avrà parlato invano dicendo di aver gioito della creazione
di Dio e che ci si deve esaltare per le opere delle sue mani, se con questi
mezzi, che fungono quasi da tramite, siamo condotti alla contemplazione del
sommo bene? Che grande utilità e che gran decoro rechi poi l’astronomia alla
cosa pubblica – per tralasciare gli innumerevoli servigi che presta ai privati
– in modo eccellente lo insegna Platone, che nel VII libro delle Leggi
ritiene che essa sia da coltivare in sommo grado, in quanto che per merito suo,
essendo i giorni ordinati in mesi e in anni, anche i tempi per le solennità e
per i sacrifici risultano al loro posto, e questo rende la comunità viva e
vigile; e se qualcheduno – aggiunge Platone – dicesse che essa non è necessaria
all’uomo che si accinge ad impadronirsi di un’altra qualunque delle dottrine
piú elevate, penserebbe nel piú stolto dei modi; e ritiene che sia ben lungi
dal diventare divino o dall’essere chiamato tale chi non abbia le necessarie
cognizioni del Sole, della Luna e degli altri astri.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol.
XII, pagg. 97-99