Il numero esprime l’ordine e
l’armonia delle cose, di quella “pluralità di enti” che costituisce il mondo
creato della cui realtà non è lecito dubitare. Per questo, accanto al massimo e al minimo, è
necessario che vi sia tutta la serie dei numeri. L’esistenza dei numeri che
consentono la distinzione e l’ordine della “pluralità degli enti” pone a Cusano
il problema dell’unità che, in quanto fondamento dei numeri, non
può essere un numero; la sua trascendenza rispetto alla scala numerica è
immagine della trascendenza di Dio.
N. Cusano, De docta ignorantia,
I, capp. V e VII
[...] E
poiché tutte le cose sono in quel miglior modo in cui possono essere, cosí non
ci può essere pluralità di enti senza il numero. Tolto infatti il numero,
vengono a mancare la distinzione e l’ordine, la proporzione, l’armonia, e la
stessa pluralità degli enti. E anche se il numero stesso fosse infinito, poiché
sarebbe allora massimo in atto, e coinciderebbe con esso il minimo,
cesserebbero tutte le cose di cui si è parlato. Torna infatti la stessa cosa,
dire che il numero infinito è e non è affatto[...] Perciò è evidente che
l’aumento del numero è, in atto, finito, e che esso sarà in potenza ad un
altro, come pure nella diminuzione il numero si comporterà in modo che dato un
numero comunque piccolo, in atto, ne sia ancor sempre possibile per sottrazione
uno minore, cosí come per aumento uno maggiore, allo stesso modo; poiché
[altrimenti] non ci sarebbe nessuna distinzione delle cose, né ordine, né pluralità,
né si troverebbe nei numeri quello che supera e quello che è superato, e anzi
non ci sarebbe numero affatto. Per la qual cosa è necessario che nel numero si
giunga ad un minimo di cui non ci possa essere il meno, come è l’unità. E
poiché non ci può essere un meno dell’unità, questa sarà il minimo semplice,
che coincide con il massimo, per le ragioni appena esposte. Non può perciò
l’unità essere un numero, poiché il numero, ammettendo la differenza in piú e
in meno, non può in nessun modo essere il semplice minimo o il semplice
massimo; ma essa è il principio di ogni numero, in quanto è il minimo, ed è
fine di ogni numero in quanto massimo. È quindi l’unità assoluta, cui nulla si
oppone, la stessa assoluta massimità, che è Dio benedetto. Questa unità, essendo
massima, non è moltiplicabile, poiché è tutto ciò che può essere. Non può
perciò essa stessa diventare numero. [...]
Ciò che
precede ogni alterità nessuno dubita che sia eterno; alterità è infatti la
stessa cosa che mutabilità, ma tutto ciò che per natura è anteriore alla
mutabilità è immutabile, e perciò eterno. Ma l’alterità consta dell’uno e
dell’altro, e perciò l’alterità, in quanto numero, è posteriore all’unità.
L’unità è perciò per natura prima dell’alterità, e poiché anche per natura
precede l’alterità, l’unità è eterna. [...]
L’alterità
pertanto e l’ineguaglianza andranno per natura insieme, poiché in modo
particolare il due è la prima alterità e la prima ineguaglianza, ma abbiamo
provato che l’uguaglianza precede per natura l’ineguaglianza, e perciò anche
l’alterità; l’uguaglianza sarà perciò eterna. [...]
1 Se
quindi l’unità è causa di nesso, e il due al contrario causa di divisione,
allora, siccome per natura l’unità è prima del due, cosí anche il nesso sarà
per natura prima della divisione. Ma la divisione e l’alterità vanno insieme
per natura, perciò anche il nesso, come l’unità, è eterno, essendo prima
dell’alterità.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1964, vol. VI, pagg. 1021-1023)