OMBRE ANTICHE E MODERNE
L'ombra e la luce si intrecciano nella storia della tecnologia. L'elettrificazione ha fatto scomparire le vaste zone d'ombra che rendevano insicure le città. È l'eredità lasciataci dal diciannovesimo secolo, che più di ogni altro ha visto un radicale miglioramento delle condizioni di illuminazione. Nello spazio di sessant'anni, dal 1820 al 1880, vengono inventati svariati tipi di lampade di facile alimentazione e relativamente economiche. Fino alla fine del secolo precedente si erano usati soprattutto grasso di balena, oìio di oiiva e cera. All'inizio dell'Ottocento si diffondono lampade che usano gas naturale e gas di carbone. L'illuminazione stradale delle principali città europee e americane utilizza il gas fin dai primi del secolo. Nel 1859 lo scavo del primo pozzo di petrolio rende disponibile un'ulteriore fonte di combustibile. Parallelamente si comincia a capire che l'elettricità può essere una sorgente di luce.
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Quindi le sorgenti di luce nuove sono più luminose, ma hanno anche un'altra proprietà. Sono stabili. Non dipendono più da una fiamma esposta alle correnti d'aria e non tremano. E questo ha una straordinaria conseguenza per la nostra storia. Come per incanto anche le ombre cessano di tremare per strada e sui muri di casa.
Il diciannovesimo secolo non ha solo sconfitto le ombre, ne ha anche create di nuove. Sono le ombre congelate. che vengono prodotte da un frammento di materia portato a incandescenza. Sono ombre nuove perché fino ad allora non esistevano in natura né mai erano state prodotte delle ombre statiche.
Fino a poche generazioni fa le ombre sono sempre state in movimento. Nessuna ombra stava mai veramente ferma. La luce della candela, il fuoco proiettano ombre tremule o agitate sulle pareti delle stanze. All'aria aperta basta tracciare un segno per terra e distrarsi qualche minuto per notare che si muovono anche le ombre apparentemente statiche proiettate dai corpi nella luce del sole. Gli orologi solari funzionano grazie al movimento dell'ombra. I pittori hanno da sempre grandi difficoltà quando dipingono un paesaggio o un edificio illuminato dal sole. Tempo un'ora, e la distribuzione delle ombre nel paesaggio è cambiata fino a renderlo irriconoscibile. Anche per questo nei corsi di pittura si studia la teoria delle ombre, che sottrae gli oggetti al mutare costante del chiaroscuro naturale. I pionieri della fotografia si sono trovati di fronte a un problema analogo.
LA RICCHEZZA DELL'OMBRA
Le ombre sono seducenti perché sono così strane e il linguaggio metaforico ha pescato abbondantemente nel tesoro di immagini che nascono dall'ombra. Le ombre sono immateriali, sono prive di consistenza, ed è per questo che essere l' ombra di se stessi significa non conservare più che una parvenza di quello che si era. Si elegge un governo ombra, si può non aver l' ombra di un quattrino, ed è inutile correre dietro alle ombre. In tedesco si dice che non si può saltare sulla propria ombra, ovvero che non si può fare l'impossibile. L'Ade era abitato dalle ombre dei defunti, da esangui duplicati di quelli che un tempo furono esseri nel pieno delle loro forze. Le ombre sono parassiti degli oggetti che le proiettano e di cui, a volte, riproducono la forma. Sembrano da sempre consegnate al mondo delle apparenze. L'ombra è un'immagine, una rappresentazione dell'oggetto che fa ombra. Ma ne è una rappresentazione incompleta, una silhouette in cui solo il contorno viene rappresentato; l'interno dell'ombra è indistinto e non dice nulla dell'oggetto che proietta l'ombra se non che è un oggetto opaco, non trasparente. Chi perde la vista dice di vedere ombre. L'ombra è una traccia. (Skia, il termine del greco antico per l'ombra, significa anche traccia.) Ci si esprime senz'ombra di dubbio. In quanto immagine, l'ombra può inoltre fare le veci dell'oggetto che la proietta e ne diventa un duplicato. Alcune ombre assurgono al rango di veri e propri personaggi letterari (non soltanto l'ombra di Peter Schlemihl e di Peter Pan; nella Carriera del libertino di Stravinskij il demonio si chiama Nick Shadow). In inglese «I have a shadow» significa «qualcuno mi sta pedinando»: qui l'ombra corporea diventa qualcosa da cui non ci si può staccare. (Nell'arabo medievale al contrario il nome dell'ombra è «l'inseguitore».) Un'ombra può nascondere un oggetto ed è pertanto legata non solo all'aspetto fisico dell'assenza di luce, ma anche all'aspetto percettivo, alla visibilità. I criminali tramano nell'ombra; certe persone vengono fatte uscire dall'ombra o vi vengono relegate; un testo può avere delle ombre, dei passi poco chiari e a volte si devono dissolvere le ombre che minacciano un'amicizia. È perché sono scure o addirittura oscure che le ombre possono nascondere. Il tedesco "Schatten" e l'inglese "shadow" derivano dal greco "skot-", che indica l'oscurità. Nel linguaggio dei segni americano l'ombra è la macchia nera. L'oscurità può proteggere e dominare. Si è all'ombra di qualcuno quando si trova riparo nella sua sfera di influenza; si è l'ombra di qualcuno quando non si esce dalla sua sfera di influenza: ma chi protegge può anche fare ombra a chi gli sta vicino, impedirgli di essere visto.
L'OMBRA DELLA MENTE
Ma come possiamo sapere che cosa pensano delle ombre i bambini che ancora non sanno parlare? E non solo delle ombre: come facciamo a sapere che cosa pensano in genere i bambini?
La risposta è: bisogna annoiarli.
La noia come strumento di conoscenza
Alla tua destra, compare una grande macchia che si ingrandisce e si rimpicciolisce seguendo un ritmo difficile da prevedere. La accompagna un suono modulato, come un disco su un grammofono che si sta spegnendo e gira sempre più lentamente. Sei paralizzato dal terrore, anche perché navighi in un liquido indistinto e senza colore in cui non c'è né alto né basso e la macchia minacciosa potrebbe agguantarti senza che tu possa evitarla. Ogni tanto ti attraversa una nuvola di profumo; in quel breve momento tu sei la nuvola, non c'è differenza tra te e lei, come non c'è differenza tra te e il suono che ascolti, forse neanche tra te e la macchia. Peraltro adesso la macchia sembra meno inquietante, si avvicina su uno sfondo musicale, un canto; si apre un sipario, e compare del tutto inaspettato il morbido oggetto dei tuoi desideri.
Non è l'inizio di un romanzo di fantascienza, ma una descrizione di come il bambino vede la realtà poco prima della poppata. Bella storia; peccato che sia tutto falso. Descrizioni di questo tipo sono leggende metropolitane scientifiche sconfessate da tempo dalla ricerca sperimentale. La leggenda è dura a morire perché si ritiene che tanto non si potrà mai sapere veramente che cosa passa per la testa dei marmocchi. E anche questo è falso.
A partire dagli anni Sessanta la psicologia dello sviluppo infantile ha fatto uso di un metodo (detto metodo dell'abituazione) che permette di studiare l'universo mentale dei bambini prelinguistici (già nelle prime settimane di vita, ma limitiamoci ai bimbi di qualche mese). L'idea di fondo è semplice. Bisogna tanto per cominciare annoiare i piccoli presentando loro ripetutamente la stessa situazione, per esempio, tre segnali sonori, di nuovo tre segnali sonori, ancora... per un bel po' di volte. All'inizio il bambino è interessato (succhia molto di più), poi lo è sempre meno, e alla fine tende a distrarsi, insomma si annoia. Quando il tasso di suzione cala e si è sicuri che il piccolo si è annoiato per bene si passa alla situazione da testare e si presentano due suoni. L'attenzione risale. Come spiegare questo interesse del neonato? L'unica cosa che cambiava nella situazione era il numero dei suoni, dunque si può ipotizzare che i neonati sappiano fare la differenza tra due e tre. Ovvero che abbiano una qualche idea della quantità e del numero. Il risultato è interessante: a quattro mesi i bambini sono sensibili a differenze di quantità - anche se solo fino a tre (il cambiamento da tre a quattro stimoli viene accolto con una certa indifferenza). Gli esperimenti sono lunghi e complicati; gli sperimentatori devono superare enormi ostacoli: trovare i bambini non è facile, li si deve selezionare. I genitori devono prestarsi a tenere il bambino in braccio se fa le bizze e devono anche chiudere gli occhi quando viene presentata la scena dell'esperimento per evitare di influenzare le risposte del bambino (trasmettendogli dei segnali con il corpo). Ma ne vale la pena.
(Roberto Casati, La scoperta dell'ombra)