Una sorta di buon senso deve guidare l’uomo nelle sue azioni, per cui diventa giustificabile anche una promessa non mantenuta, se questa è destinata a provocare danni a qualcuno.
Vi sono determinate circostanze in cui le cose che sembrano soprattutto degne di un uomo giusto, di un uomo saggio, si mutano a diventano anzi l'opposto; come restituire un deposito o adempiere una promessa a ciò che attiene alla verità a alla buona fede: talvolta è giusto trasgredirle a non darsene pensiero. Bisogna infatti sempre attenersi a quelle massime fondamentali della giustizia che ho prima stabilito: non nuocere ad alcuno, a contribuire all'utilità comune. Cambiando le circostanze, cambiano i doveri che non possono essere sempre gli stessi. 32 Può darsi infatti che qualche promessa o convenzione sia di tal natura che il mandarla ad effetto rechi danno, o a chi è stata fatta o a chi l'ha fatta. In verità, se Nettuno, come raccontano le favole, non avesse mantenuto la promessa fatta a Teseo, Teseo non avrebbe perduto il figlio Ippolito. Di quelle tre grazie che il dio, come si narra, gli aveva promesse, gliene restava a chiedere una, la terza, ed ecco che, accecato dall'ira, chiese la morte d'Ippolito: ottenuta la grazia, egli piombò nei più atroci dolori. Dunque non si debbono mantenere quelle promesse che son dannose alle persone a cui son fatte; e se quelle promesse recano maggior danno a chi le ha fatte che vantaggio a chi le ha ricevute, non è contrario al dovere anteporre il più al meno. Così, per esempio, se tu avevi promesso a qualcuno di recarti in tribunale per assisterlo in giudizio, e nel frattempo un tuo figliolo fosse caduto gravemente malato, non sarebbe contrario al dovere non mantenere la parola, anzi mancherebbe ben di più l'altro al dover suo, se si lamentasse d'abbandono. Inoltre, chi non vede che non si deve stare a quelle promesse che si son fatte o costretti da paura o tratti in inganno? E appunto la maggior parte di queste obbligazioni è annullata dal diritto pretorio; alcune di esse anche dalle leggi. 33 Vi sono poi ingiustizie che traggono origine da una certa cavillosità a da una troppo sottile, ma maliziosa, interpretazione delle leggi. Di qui quel proverbio sulla bocca di tutti: giustizia ferrea, ingiustizia somma. Sotto questo aspetto si commettono ingiustizie anche nella vita politica; come colui che, avendo patteggiato col nemico una tregua di trenta giorni, saccheggiava di notte le campagne, perché la tregua era stata pattuita per il giorno e non per la notte. Né deve essere elogiato quel nostro concittadino, Quinto Fabio Labeone, se la cosa è vera, o qualche altro (ne parlo solo per averlo sentito), nominato dal Senato arbitro per i Nolani a Napoletani sulla controversia dei confini. Giunto sul luogo, parlò separatamente con gli uni a con gli altri, perché non si comportassero da avidi a preferissero piuttosto retrocedere che avanzare. Avendo questo fatto gli uni a gli altri, restò nel mezzo un pezzo di terreno. E così egli fissò i loro confini come essi avevano detto; a aggiudicò al popolo romano lo spazio rimasto in mezzo. Ma questo è ingannare, non giudicare. In ogni atto, quindi, bisogna evitare tale sottigliezza. Devono essere rispettati certi doveri anche verso coloro che ci abbiano offesi. V'é infatti una misura nella vendetta a nel castigo: direi anzi che debba bastare che 1'offensore si penta d'avere agito male, perché egli stesso non faccia più la stessa cosa a gli altri siano meno pronti all'ingiustizia.
(Cicerone, De officiis 31-33)