All'isolamento dell'uomo di scienza, Cicerone contrappone il dovere di essere utili alla società. L'uomo intellettuale non può ignorare gli obblighi che ha verso la collettività: tra questi obblighi, spicca quello di estendere alla società i risultati dei propri studi attraverso l'eloquenza.
153. Ora appunto io credo che siano più conformi alla natura quei doveri che derivano dal sentimento della socialità che non quelli che derivano dalla sapienza; e lo si può comprovare con quest'argomento, che, se il sapiente avesse in sorte una vita tale che, affluendogli in grande abbondanza ogni bene, potesse meditare e contemplare tra sé in santa pace le più alte e nobili verità, tuttavia, se la solitudine fosse così grande da non veder mai faccia d'uomo, finirebbe col rinunziare alla vita. Poi, quella sapienza, signora di tutte le virtù, che i Greci chiamano sofia da non confondersi con la prudenza, che i Greci chiamano fronesis e che io definirei la conoscenza di ciò che si deve cercare o fuggire); quella sapienza, dunque, che ho chiamato signora, altro non è che la scienza delle cose divine e umane e in sé comprende gli scambievoli rapporti tra gli dèi e gli uomini e le relazioni degli uomini tra di loro. Ora, se questa virtù è, com'è senza dubbio, la maggiore fra tutte, ne viene di necessità che il dovere, che dall'umana convivenza deriva, è fra tutti il maggiore. E invero la conoscenza e la contemplazione dell'universo è, in certo qual modo, manchevole e imperfetta se nessun'azione pratica la segue. Ma l'azione pratica si esplica soprattutto nella difesa dei beni comuni a tutti gli uomini; riguarda, dunque, la convivenza del genere umano. L'azione, pertanto, è da anteporre alla scienza.
154. E appunto gli uomini migliori lo dimostrano col giudizio e coi fatti. Chi è così appassionato per lo studio e per la conoscenza dell'universo, che se, mentre è tutto intento a contemplare altissime verità, gli giunge tutt'a un tratto notizia che è in estremo pericolo la sua patria, alla quale egli può recar pronto e valido soccorso, non abbandoni all'istante ogni cosa, anche se si riprometta di poter contare le stelle ad una ad una o misurar la grandezza del mondo? E altrettanto farebbe se si trovasse nel bisogno o nel pericolo il padre o l'amico.
155. Da tutto ciò si comprende che agli studi e ai doveri della scienza si devono anteporre i doveri della giustizia, i quali hanno per fine la fratellanza umana, che deve essere il supremo ideale dell'uomo.
XLIV. PENSIERO E PAROLA AL SERVIZIO DELL'UOMO
Dirò di più: perfino coloro che dedicarono tutti i loro studi e tutta la loro vita al sapere, non rinunziarono però a promuovere la prosperità e la felicità degli uomini. In verità, essi educarono molti a essere migliori cittadini e più utili alla loro patria, come appunto fece il pitagorico Liside col tebano Epaminonda; come fece Platone col siracusano Dioneo così molti altri con molti altri; e anch'io, quel po' di bene che ho fatto alla mia patria, se pure ne ho fatto, lo si deve all'essere io entrato nella vita pubblica ammaestrato dai filosofi e ben dotato di dottrina.
156. E questi uomini, non solo finché sono vivi e presenti, istruiscono e ammaestrano gli spiriti avidi di sapere, ma anche dopo morti ottengono il medesimo effetto con le loro immortali scritture. Essi non tralasciarono alcun argomento che riguardasse le leggi, la morale, il buon governo dello Stato, così che può dirsi che consacrarono i loro studi privati al bene della nostra vita pubblica. Così anche quei sapienti, dediti agli studi scientifici e filosofici, recano principalmente al bene comune il contributo del loro ingegno e della loro saggezza. E per la stessa ragione, anche l'eloquenza, purché illuminata dal pensiero, vale più di una speculazione quanto mai acuta, ma incapace di esprimersi; perché la speculazione si chiude in se stessa, mentre l'eloquenza abbraccia tutti coloro che un comune vincolo unisce e affratella.
157. Anzi, come le api non si raccolgono in sciami per costruir favi, ma costruiscono favi perché sono naturalmente socievoli, così, e tanto più, gli uomini, appunto perché uniti in società per naturale istinto, mettono in comune la loro capacità di operare e di pensare. Perciò, se quella virtù che consiste nella tutela degli uomini, cioè nell'alleanza del genere umano, non informasse la conoscenza, la conoscenza parrebbe una solitaria e povera cosa; [e così la fortezza, disgiunta dalla fratellanza umana, non sarebbe altro che crudeltà e ferocia].
(Cicerone, De officiis I, 153-157)