D’Holbach, Dio e i tiranni

Secondo d’Holbach i tiranni della terra si sono ispirati al Dio della teologia, descritto sempre come un tiranno. Dalla teologia venne anche il dispotismo, affinché l’uomo fosse punito in terra ed in cielo! Disprezzando la natura ed inchinandosi al “monarca immaginario”, cioè a Dio, gli uomini si sono condannati all’infelicità.

P. H. d’Holbach, Sistema della natura, Tomo I, cap. XIX; Tomo II, cap. IV  

 

D’altronde, si vedeva che le potenze della terra, anche quando commettono le ingiustizie piú clamorose, non soffrono affatto che le si tacci di essere ingiuste, si dubiti della loro saggezza, si mormori sulla loro condotta. Ci si guardò dunque bene dall’accusare di ingiustizia il despota dell’universo, di dubitare dei suoi diritti, di lamentarsi dei suoi rigori. Si credette che un dio potesse tutto permettersi contro le deboli opere delle sue mani, che non dovesse niente alle sue deboli creature, che fosse in diritto di esercitare su di esse un dominio assoluto ed illimitato. È cosí che ne fanno uso i tiranni della terra, e la loro condotta arbitraria serví di modello a quella che si prestò alla divinità: fu sul loro modo assurdo e irrazionale di governare che si costruí per Dio una giurisprudenza particolare. Di qui si vede che i piú malvagi degli uomini sono serviti come modello a Dio e che il piú ingiusto dei governi fu il modello della sua amministrazione divina. Nonostante la sua crudeltà e la sua irragionevolezza, non si cessò mai di dirlo giustissimo e pieno di saggezza.

Gli uomini, in tutti i paesi, hanno adorato dèi bizzarri, ingiusti, sanguinari, implacabili, di cui non osarono mai esaminare i diritti. Questi dèi furono dappertutto crudeli, dissoluti,  parziali; rassomigliarono a quei tiranni sfrenati che si prendono impunemente giuoco dei loro sudditi infelici, troppo deboli o troppo ciechi per resistere loro o per sottrarsi al giogo che li opprime. È un dio di tale terribile carattere che anche oggi ci si fa adorare; il dio dei cristiani, come quello dei Greci e dei Romani, ci punisce in questo mondo e ci punirà nell’altro degli errori di cui la natura che ci ha dato ci ha reso suscettibili. Simile ad un monarca ebbro del suo potere, fa una vana mostra della sua potenza e sembra unicamente preso dal piacere di mostrare che è il padrone e non è soggetto ad alcuna legge. Ci punisce perché ne ignoriamo l’essenza incomprensibile e le volontà oscure. Ci punisce delle trasgressioni dei nostri padri, i suoi capricci dispotici decidono della nostra sorte eterna. È sulla base dei suoi decreti fatali che diventiamo i suoi amici o i suoi nemici, a dispetto di noi stessi: non ci fa liberi se non per avere ili piacere barbaro di punirci dell’abuso necessario che le nostre passioni o i nostri errori ci fanno fare della nostra libertà. Da ultimo, la teologia mostra in tutte le epoche i mortali puniti per errori inevitabili e necessari e come i trastulli infelici di un dio tirannico e malvagio.

È su queste nozioni irrazionali che i teologi, su tutta la terra, hanno fondato i culti che gli uomini dovevano rendere alla Divinità che, senza essere legata verso di essi, aveva il diritto di tenerli legati: il suo potere supremo la dispensò da ogni dovere nei confronti delle sue creature; queste si ostinarono a considerarsi colpevoli, tutte le volte che furono vittime di calamità. Non meravigliamoci, dunque, affatto se l’uomo religioso si trovò in spaventi e terrori continui: l’idea di Dio gli ricordò senza sosta quella di un tiranno spietato che si prendeva giuoco dell’infelicità dei suoi sudditi; e questi, anche senza saperlo, potevano ad ogni istante incorrere in disgrazia presso di lui. Tuttavia, gli uomini non osarono mai tacciarlo di ingiustizia, perché credettero che la giustizia non fosse assolutamente fatta per regolare le azioni di un monarca onnipossente, che il rango elevato metteva al di sopra della specie umana, mentre tuttavia si era immaginato che avesse formato l’universo assolutamente per essa […].

Non vi fu nulla di piú dannoso al genere umano di questa stravagante teoria che, come subito dimostreremo, è diventata la fonte di tutti i suoi mali. Curandosi unicamente del monarca immaginario che avevano innalzato sul trono della natura, i mortali non la consultarono piú in nulla, trascurarono l’esperienza, disprezzarono se stessi, misconobbero le proprie forze, non lavorarono affatto alla propria felicità, divennero schiavi tremanti sotto i capricci di un tiranno ideale da cui attesero tutti i beni e da cui temettero i mali che li affliggeva quaggiú. La loro vita fu impiegata a rendere omaggi servili ad un idolo di cui si credettero eternamente interessati a meritare la bontà, a disarmare la giustizia, a calmare il corruccio; furono felici unicamente quando, consultando la ragione, prendendo l’esperienza come guida e facendo astrazione dalle loro idee fantastiche, ripresero coraggio, esercitarono la loro industria e si rivolsero alla natura, la quale soltanto può fornire i mezzi per soddisfarne i bisogni ed i desideri ed allontanare o diminuire i mali che sono costretti a subire.

P. H. d’Holbach, Sistema della natura, UTET, Torino, 1978, pagg. 402-404 e 504