Charles
Darwin collega la dimensione sociale dell’uomo con quella di certe specie
animali. Egli osserva poi che la socialità, che per una società è un valore
fondamentale, non sembra essere un carattere che si possa trasmettere alla
discendenza: è piuttosto il frutto dei condizionamenti della società
sull’individuo.
Ch. Darwin, L’origine dell’uomo, Parte
Prima, Cap. V
Veniamo ora alle facoltà sociali e morali. Onde gli uomini primitivi, o i progenitori dell’uomo somiglianti alle scimmie, siano divenuto socievoli, essi dovevano avere acquistato i medesimi sentimenti istintivi di socievolezza che spingono altri animali a vivere in comune, e senza dubbio essi dimostravano la stessa disposizione generale. Dovevano sentirsi scontenti quando venivano separati dai loro compagni, pei quali dovevano provare una certa amorevolezza; si saranno avvertiti reciprocamente nel pericolo, e si saranno prestati scambievole aiuto nella aggressione o nella difesa. Tutto ciò richiede un certo grado di simpatia, di fedeltà e di coraggio. Cosiffatte qualità sociali, di cui nessuno contrasta la suprema importanza per gli animali sottostanti, sono state senza dubbio acquistate dai progenitori dell’uomo nello stesso modo di essi, cioè, colla scelta naturale, rinvigorita dell’abito ereditato. Quando due tribú di uomini primitivi, viventi nella stessa regione, venivano in lotta, se una tribú conteneva (dato che le altre circostanze fossero uguali) un numero maggiore di membri coraggiosi, dotati di simpatia e di fedeltà, sempre pronti a proteggersi scambievolmente contro il pericolo, ad aiutarsi, a difendersi a vicenda, questa tribú, non v’ha dubbio, doveva riescir vittoriosa e conquistare l’altra. Bisogna tenere a mente quanto in quelle continue guerre di selvaggi dovessero essere importantissimi il coraggio e la fedeltà. La supremazia che hanno i soldati disciplinati sopra le bande indisciplinate deriva principalmente dacché ogni uomo ha fiducia nei suoi compagni: L’obbedienza è del piú gran valore, perché è meglio qualunque forma di governo che non nessun governo. Le genti egoiste e litigiose non si uniscono, e senza unione non si può compiere nulla. Una tribú fornita in alto grado delle qualità suddette doveva spargersi e divenir vittoriosa di altre tribú; ma coll’andar del tempo, secondo quello che possiamo giudicare da tutte le storie del passato, doveva venire a sua volta sopraffatta da qualche altra tribú ancor meglio altamente dotata. Cosí le qualità sociali e morali tendevano a progredire lentamente e a diffondersi per il mondo.
Ma si potrebbe domandare come seguisse che dentro la cerchia di una stessa tribú un gran numero d’individui potesse acquistare quelle qualità morali e sociali, e come andasse sollevandosi il livello del valore? È sommamente dubbio se i figli dei genitori meglio forniti di simpatia e di benevolenza, o di quelli che erano piú fedeli ai loro compagni, venissero facendosi piú numerosi dei figli di genitori egoisti e malvagi della stessa tribú. Quegli che era pronto a sacrificare la propria vita, come molti selvaggi hanno fatto, piuttosto che tradire i suoi compagni, sovente non lasciava prole che ereditasse la sua nobile natura. Gli uomini piú coraggiosi, quelli pronti sempre a porsi in prima fila in guerra, a calcolo fatto dovevano morire in maggior numero che non gli altri uomini. Perciò non sembra quasi possibile (badiamo che qui non ragioniamo di una tribú vincitrice sull’altra) che il numero degli uomini dotati di quelle virtú, o che il livello della loro bontà, potesse venire accresciuto mercé la scelta naturale, la quale è la sopravvivenza dei migliori.
Quantunque le circostanze che producevano un aumento nel numero degli uomini cosiffattamente dotati nella cerchia di una medesima tribú siano troppo complesse perché si possa loro tener dietro con evidenza, possiamo segnarne alcuni dei piú probabili stadi. In primo luogo, mentre si venivano migliorando le potenze del ragionare e del prevedere negli individui, ogni uomo avrebbe dovuto imparare dall’esperienza che se egli prestava il suo aiuto ai suoi compagni, ne avrebbe ricevuto comunemente un ricambio di assistenza. Da questo basso movente egli poteva acquistare l’abito di soccorrere il suo simile; e l’abito di compiere opere di benevolenza rinvigorisce certamente quel senso di simpatia, che dà il primo impulso alle azioni benevoli. Gli abiti, inoltre, seguiti per molte generazioni, tendono, probabilmente, ad essere ereditati.
Ma havvi un altro e molto piú potente incitamento allo sviluppo delle virtú sociali, ed è la lode ed il biasimo dei nostri confratelli. L’amore della approvazione e il timore dell’infamia, come pure il dar lode o biasimo, sono dovuti primieramente all’istinto della simpatia; e questo istinto venne senza dubbio acquistato in origine, come tutti gli altri istinti, mercé la scelta naturale. Ben presto, non possiamo dire in quale antichissimo periodo i progenitori dell’uomo nel corso del loro sviluppo siano divenuti capaci di sentire e di essere incitati dalla lode o dal biasimo dei loro simili. Ma sembra che anche i cani apprezzino l’incoraggiamento, la lode ed il biasimo. I selvaggi piú rozzi sentono il sentimento della gloria, come lo dimostrano evidentemente i trofei che conservano delle loro prodezze, l’abito che hanno di tanto vantarsi, ed anche la somma cura che si prendono del loro aspetto e dei loro ornamenti; queste abitudini, qualora essi non tenessero conto dell’opinione dei loro compagni, non avrebbero senso.
Certamente provano vergogna quando infrangono una delle minori loro regole; ma fino a che punto sentano il rimorso, questo è molto dubbio. Io dapprima mi meravigliavo di non poter ricordare qualche esempio di questo sentimento nei selvaggi. Ma se noi ci togliamo dalla mente tutti i casi riferiti nei romanzi e nelle commedie di confessioni fatte ai preti al letto di morte, dubito che molti di noi abbiano veduto espresso il rimorso; sebbene abbiamo spesso veduto vergogna e contrizione per offese piú piccole. Il rimorso è un sentimento profondamente nascosto. È incredibile che un selvaggio, il quale sacrifica la propria vita, anziché tradire la sua tribú, o quello che si lascia far prigioniero piuttosto che mancar di parola, non senta nel fondo dell’anima il rimorso, sebbene possa celarlo, quando abbia mancato a un dovere che considera sacro.
Noi perciò possiamo conchiudere che per l’uomo primitivo, in un periodo remotissimo, la lode o il biasimo dei suoi compagni debbano avere avuto importanza. Evidentemente i membri di una medesima tribú avrebbero approvata quella condotta che pareva loro fosse utile al benessere generale e disapprovata quella che paresse dannosa. Fare il bene agli altri - fate agli altri ciò che vorreste fatto a voi – è la pietra fondamentale della moralità. Non è quindi possibile esagerare l’importanza che ebbero, durante i tempi piú rozzi, l’amore della lode ed il timore del biasimo. Quell’uomo il quale non veniva spinto da nessun profondo ed istintivo sentimento a sacrificare la sua vita per il bene del prossimo, veniva tuttavia indotto a compiere cosiffatte azioni da un senso di gloria, ed il suo esempio doveva svegliare in altri uomini lo stesso desiderio di gloria, e mercé l’esercizio veniva cosí rinvigorito il nobile sentimento dell’ammirazione. Egli in tal modo recava un bene molto maggiore alla sua tribú che non generando figli dotati di una tendenza ad ereditare il suo nobile carattere.
L’uomo acquistando maggiore esperienza e ragione può scorgere le piú remote conseguenze delle sue azioni, e le virtú riguardanti la persona, come la temperanza, la castità ecc., le quali durante i periodi primitivi sono state, come abbiamo già veduto, tenute in poco conto, vengono ad essere grandemente stimate ed anche considerate come sacre. Perciò non ho bisogno di ripetere quello che ho detto intorno a questo argomento nel terzo capitolo. In ultimo ne deriva un sentimento molto complesso, che ha la sua prima origine negli istinti sociali, grandemente guidato dalla approvazione dei nostri confratelli, regolato dalla ragione, dall’interesse proprio, e in tempi ulteriori da sentimenti religiosi, viene confermato dall’istruzione e dall’abitudine, e tutte queste cose riunite costituiscono il nostro senso morale o coscienza.
Non bisogna dimenticare che, sebbene un alto livello di moralità procuri soltanto poco od anche nessun vantaggio ad ogni individuo e ai suoi figli sugli altri membri della stessa tribú, tuttavia un progresso nel livello della moralità ed un maggior numero di uomini bene dotati darà certamente una immensa superiorità ad una tribú sopra un’altra. Non può esservi dubbio che una tribú che racchiude in sé molti membri i quali, possedendo in alto grado lo spirito di patriottismo, la fedeltà, l’obbedienza, il coraggio e la simpatia, fossero sempre pronti ad aiutarsi scambievolmente e sagrificarsi pel bene comune, sarebbe vincitrice di molte altri tribú; e questa sarebbe la scelta naturale. In ogni tempo nel mondo certe tribú ne hanno soppiantate altre; e siccome la moralità è un elemento di riuscita, il livello della moralità e il numero degli uomini nobilmente dotati tenderà cosí ovunque ad innalzarsi e ad estendersi.
Ch. Darwin, L’origine dell’uomo, trad.
di G. Canestrini, Barion, Sesto San Giovanni-Milano, 1926, pagg. 103-106