Nella
pagina che segue l’autore affronta il problema di una antropologia filosofica
che risulta insolubile se affrontato con i mezzi della sola ragione, al punto
che alcune tendenze contemporanee negano che esista una “natura” umana. Infatti
l’uomo, partecipando a due ordini differenti di realtà, deve riconoscere il suo
fine proprio, secondo la tradizione speculativa che risale ad Aristotele, nella
realtà piú elevata alla quale partecipa, che risiede nel suo essere “immagine
di Dio”. Ecco allora la citazione tratta dal Breviloquium di San
Bonaventura che apre il brano: “nulla che sia inferiore a Dio può accontentare
l’uomo”.
H. De Lubac, Il mistero del soprannaturale
“Nullo minus Deo potest rationalis spiritus praemiari, nec impleri...”
Da ciò deriva, in questa creatura a parte, tale “costituzione ontologica instabile”, che la fa nello stesso tempo piú grande e piú piccola di se stessa. Da questo deriva questa specie di procedere sbilenco, questo misterioso zoppicare, che non è soltanto del peccato, ma prima ancora e piú radicalmente proprio d’una creatura fatta di nulla, che, stranamente, confina con Dio: Deo mente consimilis. Nello stesso tempo, indissolubilmente, “nulla” e “immagine”; radicalmente nulla, e tuttavia sostanzialmente immagine: Esse imaginem non est homini accidens, sed potius substantiale.
Per la sua stessa creazione, l’uomo è “compagno di schiavitú” di tutta la natura; ma allo stesso tempo, per il suo carattere d’immagine – in quantum est ad imaginem Dei – è “capace della conoscenza beatifica”, ed ha ricevuto, nel fondo di se stesso, come diceva Origene, “il precetto della libertà”. Si capiscono le esclamazioni di Bérulle. Il loro lirismo non inganna; egli non esagera la dottrina degli antichi teologi: “È un nulla, è un miracolo..., è un Dio, è un nulla circondato da Dio, bisognoso di Dio, capace di Dio! ...”.
H. De Lubac, Il mistero del soprannaturale,
in Opera omnia, vol. V, Jaca Book, Milano, 1979, pagg. 154-155