Le Regulae ad
directionem ingenii (“Regole per la guida dell'intelligenza”), scritte fra
il 1627 e il 1628, sono la prima opera di rilievo di René Descartes. Già nel
titolo è contenuto il nucleo del pensiero cartesiano: la centralità della
ragione in quanto “facoltà innata” (ingenium nel suo significato
originale vuol dire “non nato”) dell'uomo e la necessità di fornirle regole
certe. Per Descartes la capacità razionale dell'uomo può sortire effetti
straordinari, ma solo se segue procedimenti corretti, cioè se adotta un giusto metodo.
In questo caso sarà possibile individuare un metodo che porti a quella
conoscenza universale (mathesis universalis) cui gli uomini hanno sempre
aspirato.
R. Descartes, Regole per la guida dell'intelligenza, Regola
quarta
C'è negli uomini la consuetudine che ogni qual volta scoprano qualche
somiglianza tra due cose, giudichino di ambedue, anche per ciò in cui esse sono
differenti, quello che hanno verificato vero dell'una o dell'altra. Cosí, male
paragonando le scienze, che consistono interamente nella cognizione, che è di
natura spirituale, con le arti, le quali richiedono un certo esercizio e
abitudine del corpo, e vedendo che non tutte le arti si possono apprendere
contemporaneamente da un medesimo uomo, ma che riesce piú facilmente ottimo
artista colui che ne esercita una soltanto, poiché le stesse mani non possono
rendersi atte a coltivare i campi e suonar la cetra, o a svariati mestieri di
tal genere, tanto acconciamente quanto ad uno solo di essi - credettero il
medesimo anche riguardo alle scienze, e distinguendole tra loro secondo la
diversità degli oggetti, hanno ritenuto che si debba cercar di acquistarle una
per una distintamente e mettendo da parte tutte le altre. In ciò si sono completamente
ingannati. Infatti, poiché tutte le scienze non sono nient'altro che l'umano
sapere, il quale permane sempre uno e medesimo, per differenti che siano gli
oggetti a cui si applica, né prende da essi maggior distinzione di quanta ne
prenda il lume del Sole dalla varietà delle cose che illumina, non c'è bisogno
di racchiudere la mente in alcun limite; e invero la conoscenza di un'unica
verità non ci disvia, come fa invece l'esercizio d'un mestiere, dal
ritrovamento di un'altra, ma piuttosto ci è d'aiuto. E mi sembra cosa da destar
proprio meraviglia, che gran numero di persone indaghi diligentissimamente i
costumi degli uomini, le virtú delle piante, i moti degli astri, le
trasformazioni dei metalli e gli oggetti di altre simili discipline, e che frattanto
quasi nessuno volga il pensiero alla retta mente, ossia a questa universale
sapienza, quando nondimeno tutte le altre cose sono degne di stima non tanto di
per sé, quanto perché portano qualche tributo ad essa. E per fermo non
ingiustamente proponiamo prima di tutte questa regola, poiché niente ci
allontana maggiormente dalla retta via di ricerca della verità, che il dirigere
gli studi non già a tal fine generale, ma a qualche fine particolare. Non parlo
di fini perversi e condannabili come sono la vuota rinomanza e il guadagno
disonesto: è evidente infatti che modi fraudolenti e cose false adatte
all'intelligenza del volgo aprono una strada molto piú spedita di quanto non
possa la solida conoscenza del vero. Ma intendo parlare dei fini onesti e lodevoli,
perché spesso da questi siamo ingannati in maniera alquanto sottile: come se ci
dedichiamo a ricerche utili per le comodità della vita o per quel piacere che
si trova nella contemplazione del vero, e che in questa vita è quasi l'unica
felicità completa e non turbata da alcun dolore. Giacché possiamo certo
aspettarci questi legittimi frutti delle scienze; ma se entro la cosa da
studiare pensiamo ad essi, spesso fanno sí che molto di ciò che è necessario
alla conoscenza di altre cose venga tralasciato, o perché a prima vista sembra
poco utile o perché attrae poco la nostra curiosità. Ed è da ritenere che tutte
[le scienze] sono cosí connesse tra loro, che è di gran lunga piú facile
impararle tutte insieme, che separare una sola di esse dalle altre. Se uno
pertanto vuole indagare sul serio la verità delle cose, non deve scegliere una
qualche scienza particolare; poiché sono tutte congiunte tra loro e dipendenti
ciascuna dalle altre; ma egli pensi soltanto ad aumentare il natural lume di
ragione, non per risolvere questa o quella difficoltà di scuola, ma affinché
nei singoli casi della vita l'intelletto additi alla volontà che cosa sia da
scegliere; e in breve vedrà con meraviglia e di aver fatto progressi di gran
lunga maggiori di coloro che si occupano di cose particolari, e di aver
conseguito non soltanto tutti quei risultati che gli altri bramano, ma anche
risultati piú alti di quelli che essi possono sperare.
(R. Descartes, Opere, Laterza, Bari, 1967, vol. I, pagg. 17-18)