La ragione umana possiede
“qualcosa di divino”, e, grazie alla sua capacità di intuire e di dedurre,
aumenterà “sempre il sapere” e “perverrà alla vera cognizione di tutte quelle
cose di cui sarà capace”. Perché questa straordinaria forza conoscitiva possa
esplicarsi è necessario, però, seguire un corretto “metodo” di indagine. Il
modello per il nuovo metodo, che potrà essere applicato a ogni tipo di
indagine, è fornito dall'aritmetica, dalla geometria e dall'algebra.
R. Descartes, Regole per la
guida dell'intelligenza, Regola seconda
Ora però,
poiché poco fa abbiam detto che delle discipline conosciute dagli altri
soltanto l'aritmetica e la geometria sono pure da ogni macchia di falsità o di
incertezza - affinché con piú diligenza venga da noi pesato il motivo per cui
si verifica questo -, è da notare che alla conoscenza delle cose si può
giungere per una duplice via, e cioè o mediante l'esperienza o mediante la
deduzione. È da notare inoltre che l'esperienza delle cose spesso è fallace,
mentre la deduzione, ossia la semplice illazione di una cosa da un'altra, può
certamente venire omessa, se non è scorta, ma non può mai essere fatta male da
un intelletto che sia poco poco capace di ragionare. E mi sembra che poco
giovino al riguardo quelle pastoie dei dialettici, con le quali essi reputano
di governare la ragione umana - sebbene io non voglia negare che esse siano
adattissime ad altri usi. In verità ogni inganno che può capitare agli uomini,
dico, non alle bestie, non proviene mai da cattiva illazione, ma da ciò
soltanto, che vengono supposte certe esperienze poco comprese, oppure vengono
pronunziati giudizi alla leggera e senza fondamento.
Da queste
cose si comprende chiaramente perché l'aritmetica e la geometria risultino di
gran lunga piú certe delle altre discipline; per il motivo cioè che esse sole
vertono intorno ad un oggetto cosí puro e semplice, che non suppongono proprio
alcuna cosa che l'esperienza abbia reso incerta, ma bensí consistono
interamente nel dedurre logicamente delle conseguenze. Esse sono pertanto fra
tutte massimamente facili e chiare, e hanno un oggetto quale lo ricerchiamo, sí
che sembra quasi non umano sbagliare in esse fuor che per inavvertenza. E
tuttavia non è da meravigliarsi, per questo, se l'intelligenza di molti si
volge spontaneamente piuttosto ad altre arti o alla filosofia: ciò infatti
accade perché ognuno si permette con piú sicurezza di tirar ad indovinare in
una cosa oscura, che non in una cosa evidente, ed è di gran lunga piú facile fare
qualche congettura intorno ad una qualsiasi questione, che non giungere proprio
alla verità in una pur facile questione.
Ma già da
tutto ciò è evidente, non certamente che si debbano imparar soltanto
l'aritmetica e la geometria, ma semplicemente che coloro i quali cercano il
retto cammino della verità non debbono occuparsi di nessun oggetto, intorno a
cui non possano avere certezza pari a quella delle dimostrazioni aritmetiche e
geometriche. [...]
Per metodo
poi intendo delle regole certe e facili, osservando le quali esattamente
nessuno darà mai per vero ciò che sia falso, e senza consumare inutilmente
alcuno sforzo della mente, ma gradatamente aumentando sempre il sapere,
perverrà alla vera cognizione di tutte quelle cose di cui sarà capace.
Qui si debbono
poi avvertire queste due cose: niente, che di certo sia falso, dare per vero, e
giungere alla conoscenza di tutte le cose. Poiché se ignoriamo alcunché di
tutto ciò che possiam sapere, questo avviene soltanto o perché non ci siamo mai
accorti di una via che menasse a tale conoscenza, o perché siamo caduti
nell'errore contrario [a tal conoscenza]. Ma quando il metodo spieghi
rettamente in qual maniera si debba far uso dell'intuito della mente, affinché
non si cada nell'errore contrario al vero, e in qual maniera si debbono trovar
le deduzioni, affinché si giunga alla conoscenza di tutto - nient'altro a parer
mio si richiede a che la conoscenza sia completa, dal momento che, come è stato
già detto, non si può avere alcuna scienza, se non mediante l'intuito della
mente o mediante la deduzione. Né infatti il metodo può venire esteso anche ad
insegnare in qual modo si debbano fare queste operazioni medesime, perché [tali
operazioni] sono le piú semplici di tutte e primitive, sí che se il nostro
intelletto non potesse già prima servirsi di esse, non comprenderebbe affatto i
precetti dello stesso metodo, quantunque facilissimi. Altre operazioni, poi,
della mente, che la dialettica si sforza di indirizzare all'aiuto di queste
prime, qui sono inutili, o addirittura sono da annoverare tra gli ostacoli,
poiché al puro lume di ragione non può essere aggiunto niente che in qualche
modo non lo oscuri.
Dal
momento, dunque, che l'utilità di questo metodo è cosí grande, che senza di
esso occuparsi di studi sembra dover riuscire di danno piuttosto che di
giovamento, io mi persuado facilmente che esso già per l'addietro sia stato dai
maggiori ingegni intuíto in qualche modo, ossia per solo suggerimento della
natura. Infatti l'umana mente ha un qualcosa di divino, in cui i primi semi di
pensieri utili sono sparsi in maniera, che sovente, quantunque negletti e
soffocati da mal diretti studi, producono messe spontanea. La qual cosa
sperimentiamo nelle scienze piú facili di tutte, l'aritmetica e la geometria:
ci accorgiamo infatti che gli antichi geometri hanno usato una specie di
analisi, che estendevano alla soluzione di tutti i problemi, sebbene l'abbiano
nascosta ai posteri. E già vigoreggia un certo genere di aritmetica, che
chiamano algebra, volto ad eseguire intorno ai numeri ciò che gli antichi
facevano intorno alle figure. E queste due scienze non sono nient'altro che
frutti spontanei nati dagli ingeniti princípi di tal metodo; e non mi
meraviglio che tali frutti siano finora maturati intorno ai semplicissimi
argomenti di queste arti piú felicemente che nelle altre, ove maggiori intralci
di solito li soffocano; ma anche quivi tuttavia, solo che siano coltivati con
somma cura, potranno senza dubbio giungere a perfetta maturazione.
(R. Descartes, Opere,
Laterza, Bari, 1967, vol. I, pagg. 20-21 e 26-27)