Descartes, Il concetto di sostanza

Descartes definisce la sostanza come una cosa che non ha bisogno “che di se medesima per esistere”; e ciò può essere soltanto caratteristica di Dio. Ci sono, però, anche sostanze che, pur non essendo autofondanti (che presuppongono la presenza di Dio) consentono l'esistenza di tutte le cose spirituali e materiali: si tratta della res cogitans e della res extensa.

 

R. Descartes, I princípi della filosofia, Parte prima, 51-53

 

51. Che cos'è la sostanza, e che è un nome che non si può attribuire a Dio ed alle creature nello stesso senso.

Per quanto riguarda le cose che noi consideriamo come dotate di qualche esistenza, è necessario che le esaminiamo qui l'una dopo l'altra, per distinguere quello ch'è oscuro da quello che è evidente nella nozione che abbiamo di ciascuna. Quando noi concepiamo la sostanza, concepiamo solamente una cosa che esiste in tal modo da non aver bisogno che di se medesima per esistere. Nel che può esserci dell'oscurità riguardo alla spiegazione di questa espressione: non aver bisogno che di se medesimo; poiché, a parlar propriamente, non v'è che Dio che sia tale, e non v'è niuna cosa creata che possa esistere un sol momento senza essere sostenuta e conservata dalla sua potenza. Ecco perché si ha ragione nella scuola di dire che il nome di sostanza non è “univoco” riguardo a Dio ed alle creature, cioè che non v'è nessun significato di questa parola, che noi concepiamo distintamente, che convenga nello stesso senso a lui e a loro; ma poiché tra le cose create alcune son di tale natura da non potere esistere senza alcune altre, noi le distinguiamo da quelle che non hanno bisogno che del concorso ordinario di Dio, chiamando queste “sostanze” e quelle “qualità o attributi” di queste sostanze.

 

52. Che esso [il concetto di sostanza] può essere attribuito all'anima e al corpo nello stesso senso, e come si conosce la sostanza.

E la nozione che noi abbiamo cosí della sostanza creata si riporta nello stesso modo a tutte, cioè a quelle che sono immateriali, come a quelle che sono materiali o corporee; poiché, per intendere che sono sostanze, bisogna soltanto che noi percepiamo che esse possono esistere senza l'aiuto di nessuna cosa creata. Ma quando si tratta di sapere se qualcuna di queste sostanze esiste veramente, cioè se essa è attualmente nel mondo, non basta che esista in questo modo perché noi la percepiamo; poiché questo solo non ci scopre nulla che ecciti qualche conoscenza particolare nel nostro pensiero. Bisogna, oltre di questo, che essa abbia alcuni attributi che noi possiamo osservare; e non ve n'è nessuno che non basti per questo scopo, poiché una delle nostre nozioni comuni è che il nulla non può avere né attributi, né proprietà o qualità: ecco perché, quando se ne trova qualcuno, si ha ragione di concludere che esso è l'attributo di qualche sostanza, e che questa sostanza esiste.

 

53. Che ogni sostanza ha un attributo principale, e che quello dell'anima è il pensiero, come l'estensione è quello del corpo.

Ma, benché ogni attributo sia sufficiente per fare conoscere la sostanza, ve n'ha tuttavia uno in ognuna, che costituisce la sua natura e la sua essenza, e dal quale tutti gli altri dipendono. Cioè l'estensione in lunghezza, larghezza e profondità costituisce la natura della sostanza corporea; ed il pensiero costituisce la natura della sostanza pensante. Poiché tutto ciò che del resto si può attribuire al corpo presuppone estensione, e non è che un modo di quello che è esteso; egualmente tutte le proprietà che troviamo nella cosa che pensa, non sono che modi differenti di pensare. Cosí non sapremmo concepire, per esempio, nessuna figura se non in una cosa estesa, né movimento che in uno spazio che sia esteso; cosí l'immaginazione, il sentimento e la volontà dipendono in tal modo da una cosa che pensa, che non possiamo concepirli senza di essa. Ma, al contrario, noi possiamo concepire l'estensione senza figura o senza movimento, e la cosa che pensa senza immaginazione o sentimento, e cosí via.

 

(R. Descartes, Opere, Laterza, Bari, 1967, vol. II, pagg. 51-53)