La definizione delle due sostanze che
originano il mondo (res
cogitans e res extensa) si sviluppa nell'analisi di ciascuna di esse.
Il pensiero è costituito dalle idee, che sono “tutto ciò che può essere nel
nostro pensiero”. Descartes distingue le idee in innatae (proprie della
natura umana), adventitiae (provenienti dall'esterno attraverso i sensi)
e factitiae (costruite dall'immaginazione umana).
R. Descartes, Meditazioni metafisiche,
Terza meditazione
Tra i miei pensieri, alcuni sono come le
immagini delle cose, e a quelli soli conviene propriamente il nome d'idea: come
quando mi rappresento un uomo, o una chimera, o il cielo, o un angelo, o Dio
stesso. Altri poi hanno anche altre forme: cosí, quando io voglio, temo,
affermo o nego, concepisco qualche cosa come oggetto dell'atto del mio
pensiero, ma aggiungo anche altro, per mezzo di quest'azione, all'idea di
quella cosa; e di questo genere di pensieri, gli uni sono chiamati volontà o
affezioni, e gli altri giudizi.
Ora, per ciò che concerne le idee, se noi le
consideriamo solo in se stesse, senza riportarle ad altro, esse non possono, a
parlar propriamente, essere false; poiché, sia che immagini una capra o una
chimera, immagino l'una non meno che l'altra.
Egualmente, non bisogna temer falsità nelle
affezioni o volontà; perché sebbene io possa desiderare cose cattive, o anche
cose che non furono mai, tuttavia non è perciò meno vero che io le desidero.
Cosí restano i soli giudizi, nei quali debbo
badare accuratamente a non ingannarmi. Ora il principale e piú ordinario errore
che vi si possa trovare consiste in ciò, che io giudico che le idee, le quali
sono in me, siano simili o conformi a cose che sono fuori di me; poiché
certamente, se considerassi le idee solamente come modi o maniere del mio
pensiero, senza volerle riportare ad altro, ben difficilmente mi potrebbero
dare occasione di errare.
Ora, di queste idee alcune mi sembrano nate
con me [innatae], altre estranee e venute dal di fuori [adventitiae],
altre ancora fatte ed inventate da me stesso [factitiae]. Infatti la
facoltà di concepire una cosa, una verità, o un pensiero, sembra non venirmi da
altro che dalla mia natura; ma se odo adesso qualche rumore, se vedo il Sole,
se sento caldo, fino ad ora ho giudicato che queste sensazioni provenissero da
cose esistenti fuori di me; ed infine mi sembra che le sirene, gli ippogrifi e
tutte le altre simili chimere siano finzioni ed invenzioni del mio spirito.
[Descartes analizza le diverse idee
presenti nel suo pensiero e conclude che potrebbero essere esclusivamente un
prodotto della sua mente. Con una sola eccezione]
Non resta, dunque, che la sola idea di Dio,
nella quale bisogna considerare se vi sia qualche cosa che non sia potuto
venire da me stesso. Con il nome di Dio intendo una sostanza infinita, eterna,
immutabile, indipendente, onnisciente, onnipotente, e dalla quale io stesso, e
tutte le altre cose che sono (se è vero che ve ne sono di esistenti), siamo
stati creati e prodotti. Ora, queste prerogative sono cosí grandi e cosí eminenti,
che piú attentamente le considero, e meno mi persuado che l'idea che ne ho
possa trarre la sua origine da me solo e, per conseguenza, bisogna
necessariamente concludere, che tutto ciò che ho detto per lo innanzi, che Dio
esiste; poiché, sebben l'idea della sostanza sia in me per il fatto stesso che
sono una sostanza, non avrei tuttavia, l'idea di una sostanza infinita, io che
sono un essere finito, se essa non fosse stata messa in me da qualche sostanza
veramente infinita. [...]
E certo non si deve trovare strano che Dio,
creandomi, abbia messo in me questa idea, perché fosse come la marca
dell'operaio impressa sulla sua opera [...].
(R. Descartes, Opere, Laterza, Bari,
1967, vol. I, pagg. 217-218; 225; 230)