Qualsiasi metodo che aspiri a essere
universale, cioè unico,
deve valorizzare al massimo la diversità: la chiarezza e la precisione proprie
del sapere scientifico si acquistano infatti soltanto evitando le
generalizzazioni banali (come quelle che possono derivare dal ricorso esclusivo
al procedimento induttivo). Anche fare affidamento sulle facoltà della ragione
come detentrice della Verità, può portare all'errore, dal momento che la
ragione umana subisce forti condizionamenti ambientali. L'unica via è quella di
individuare un numero limitato di regole che, per la loro semplicità,
preservino la ragione dall'errore.
R. Descartes, Discorso sul metodo, II
Sin
dagli anni di collegio appresi che non si può immaginare nulla di tanto strano
e poco credibile che non sia stato detto da qualche filosofo. Poi, viaggiando,
potei constatare che non tutti quelli che sentono in modo contrario da noi sono
per questo barbari o selvaggi: ché, anzi, molti di essi usano la ragione quanto
e piú di noi. Il che mi fece comprendere come un medesimo uomo, con la stessa
intelligenza, educato sin dall'infanzia tra Francesi o Tedeschi, vien su
diversamente da quel che sarebbe se fosse vissuto sempre fra Cinesi o
cannibali. Persino nella moda dei nostri abiti quel che ci è piaciuto dieci
anni fa, e che forse ci tornerà a piacere da qui ad altri dieci anni, ci sembra
ora stravagante e ridicolo. Non una conoscenza certa, dunque, è per lo piú quel
che ci fa persuasi, ma l'abitudine e l'esempio. Ma per la scoperta di verità un
po' difficili la maggioranza dei consensi vale poco o nulla, perché è piú
facile che le scopra un uomo solo che non tutto un popolo. Per queste ragioni,
dunque, io non sapevo scegliere nessuno le cui opinioni mi sembrassero
preferibili a quelle degli altri, e mi trovai, si può dire, costretto a cercare
di guidarmi da me stesso.
Allora,
come un uomo che cammina nell'oscurità e solo, presi la risoluzione di avanzare
tanto lentamente e con tanta circospezione in ogni cosa, per cui, pur progredendo
di poco, evitassi tuttavia di cadere. Anzi, non cominciai neppure a ripudiare
d'un tratto le opinioni che per l'addietro si fossero potute insinuare nella
mia mente senza esservi introdotte dalla ragione, ma presi tempo per tracciare
prima il disegno dell'opera che intraprendevo, e per cercare ponderatamente il
vero metodo da seguire nella conoscenza delle cose di cui la mia intelligenza
era capace.
Avevo
studiato un po' quando ero piú giovane, tra le parti della filosofia, la
logica, e, tra le matematiche, l'analisi geometrica e l'algebra: tre arti o
scienze, dalle quali speravo cavar qualche aiuto per il mio disegno. Ma,
nell'esaminarle, mi accorsi che m'ero ingannato. I sillogismi e la maggior
parte dei precetti della logica servono piuttosto a spiegare agli altri le cose
che già si sanno, ovvero anche, come l'arte di Lullo, a parlare senza
discernimento delle cose che uno ignora, invece d'impararle. Quella logica
contiene, senza dubbio, anche precetti ottimi, verissimi, ma, mescolati con
quelli, ne ha tanti altri nocivi, o per lo meno inutili, che separarli è
un'impresa ardua, come quella di cavar fuori una Diana o una Minerva da un
blocco di marmo neppure sbozzato. E quanto all'analisi degli antichi e
all'algebra dei moderni, oltre che riguardano materie astrattissime e di poco
uso in pratica, è da notare che la prima è cosí legata alla considerazione
delle figure che non può esercitare l'intelligenza senza stancare molto
l'immaginazione, e la seconda s'è talmente assoggettata a certe regole e a certe
cifre da apparire un'arte confusa e oscura per imbarazzare l'intelligenza
piuttosto che una scienza per coltivarla.
Bisognava,
dunque, che io cercassi un altro metodo, il quale, riunendo i vantaggi di
questi tre, fosse esente dai loro difetti. E come la moltitudine delle leggi
fornisce spesso una scusa all'ignoranza e al vizio, per cui uno Stato è tanto
meglio regolato quanto meno ne ha, ma rigorosamente osservate; cosí, invece di
quel gran numero di regole di cui la logica è composta, pensai che ne avrei
avuto abbastanza di queste quattro, purché prendessi la ferma e costante
risoluzione di non venir meno neppure una volta alla loro osservanza.
La
prima era di non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi esser tale
con evidenza: di evitare, cioè, accuratamente la precipitazione e la
prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi nulla di piú di quello che
si presentava cosí chiaramente e distintamente alla mia intelligenza da
escludere ogni possibilità di dubbio.
La
seconda era di dividere ogni problema preso a studiare in tante parti minori,
quante fosse possibile e necessario per meglio risolverlo.
La
terza, di condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti piú
semplici e piú facili a conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi,
sino alla conoscenza dei piú complessi; e supponendo un ordine anche tra quelli
di cui gli uni non precedono naturalmente gli altri.
L'ultima,
di far dovunque enumerazioni cosí complete e revisioni cosí generali da esser
sicuro di non aver omesso nulla.
Quelle
catene di ragionamenti, lunghe, eppure semplici e facili, di cui i geometri si
servono per pervenire alle loro piú difficili dimostrazioni, mi diedero motivo
a supporre che nello stesso modo si susseguissero tutte le cose di cui l'uomo
può avere conoscenza, e che, ove si faccia attenzione di non accoglierne alcuna
per vera quando non lo sia, e si osservi sempre l'ordine necessario per dedurre
le une dalle altre, non ce ne fossero di cosí lontane alle quali non si potesse
arrivare, né di cosí nascoste che non si potessero scoprire. Da quali
cominciare, non tardai molto a stabilire: ché sapevo già che dovevano essere le
piú semplici e facili a conoscersi. Considerando, quindi, come, fra tutti
quanti hanno finora cercata la verità nelle scienze, soltanto i matematici sono
riusciti a trovare alcune dimostrazioni o ragionamenti certi ed evidenti, non
dubitai che quelle fossero le verità prime da esaminare, sebbene non ne
sperassi altro vantaggio che di abituare la mia intelligenza alla ricerca fondata
sul vero e non su falsi ragionamenti. Non per questo pensai di dedicarmi a
tutte quelle scienze particolari che comunemente son chiamate matematiche.
Invece, osservando come tutte, per quanto i loro oggetti siano diversi, son
d'accordo a considerare questi soltanto dal lato dei rapporti e delle
proporzioni, pensai che era meglio esaminare soltanto questi rapporti, o
proporzioni, in generale, supponendoli in quegli oggetti che potevano
facilitarmene la conoscenza, ma senza limitarli a essi in nessun modo per
poterli dopo applicare ugualmente bene a tutti gli altri oggetti a cui
convenissero. Notai, inoltre, questo: che quei rapporti avrei avuto bisogno di
considerarli qualche volta in casi particolari, semplici, tal altra invece di
ritenerne e comprenderne parecchi insieme; e pensai, allora, che nel primo caso
mi convenisse esprimerli con linee, perché non trovavo nulla di piú semplice e
facile per rappresentarli distintamente all'immaginazione e ai sensi, e nel
secondo caso mi convenisse esprimerli mediante alcune cifre, le piú brevi
possibili: in questo modo avrei preso tutto il meglio dell'analisi geometrica e
dell'algebra, e avrei corretto i difetti dell'una per mezzo dell'altra.
Oso dire che l'esatta osservanza di quei pochi
precetti, che mi ero prefisso, mi diede subito una grande facilità a districare
tutte le questioni comuni a queste due scienze; cominciando, infatti, dalle piú
semplici e generali, e servendomi delle verità trovate come di regola per
trovare ordinatamente le altre, in due o tre mesi venni a capo di parecchie
questioni che in passato mi erano sembrate tra le piú difficili. Non solo. Ma
mi sembrò alla fine di poter determinare, anche per quelle non ancora studiate,
con quali mezzi e fino a qual punto era possibile risolverle. Né ciò vi deve
apparire come una vanità, solo che consideriate come, essendo una sola la
verità di ogni cosa, chiunque la trovi, ne sa quanto se ne può sapere: per cui,
ad esempio, quando un ragazzo istruito in aritmetica ha fatto un'addizione
secondo le regole, può esser sicuro d'aver trovato, rispetto alla somma, tutto
quello che lo spirito umano può saperne. D'altra parte, un metodo che insegni
veramente a seguir l'ordine e ad analizzare esattamente i dati di quel che si
cerca, contiene anche tutto ciò che dà certezza alle regole dell'aritmetica.
Ma quel che piú mi dava soddisfazione in questo
metodo era la sicurezza di servirmi in tutto della mia ragione, se non
perfettamente, per lo meno nel modo migliore ch'io potevo. Si aggiunga che,
praticandolo, la mia intelligenza, come ben avvertivo, si abituava a poco a
poco a concepire piú chiaramente e distintamente i suoi oggetti, sí che, non
avendola vincolata a nessuna materia particolare, mi ripromettevo di applicarla
ai problemi di altre scienze altrettanto utilmente come a quelli dell'algebra.
Non per questo, tuttavia, osai di pormi allo studio di esse senz'altro: il che
sarebbe stato contrario anche all'ordine che con un tal metodo mi ero
prescritto. Anzi, riflettendo alla necessità, in cui queste scienze si trovano,
di derivare i loro princípi dalla filosofia, dove non ne vedevo ancora di
certi, pensai che mi bisognava anzitutto tentare di stabilirne qualcuno proprio
in questa. Ma questa era cosa di cui nessun'altra era piú importante: dove la
precipitazione e la prevenzione sono piú da temere. Io avevo allora ventitré
anni, e però pensai di non poterne venire a capo finché non avessi un'età piú
matura e non avessi impiegato tempo sufficiente a prepararmi, sia liberandomi
radicalmente da tutte le opinioni erronee accolte per l'innanzi nel mio
spirito, sia facendo provvista di esperienze per aver la materia dei miei
ragionamenti, sia in fine con l'esercizio costante del mio metodo per
impadronirmene sempre meglio.
(R. Descartes, Opere, Laterza, Bari,
1967, vol. I, pagg. 140-144)