Dewey, I compiti del liberalismo

Questa lettura per essere compresa deve tener conto del significato specifico della parola liberal nella cultura americana. Inoltre si deve considerare la situazione particolare degli anni Trenta, quando non la democrazia, ma fascismo e comunismo si contendevano il dominio del mondo. La proposta di Dewey è l’economia socializzata come mezzo e il libero sviluppo individuale come fine.

 

J. Dewey, Liberalism and Social Action, [Liberalismo e azione sociale], New York, 1936; trad. it. di R. Cresti, La Nuova Italia, Firenze, 1946, pagg. 110-114

 

Il “materialismo” corrosivo dei nostri tempi non procede dalla scienza; esso sorge dalla nozione, sediziosamente coltivata dalla classe al potere, che le capacità creative degli individui possano essere risvegliate e sviluppate soltanto nella lotta per il possesso materiale e per il guadagno materiale. E allora ci si pone questa alternativa, o rinunciare alla nostra professione di fede nella supremazia dei valori ideali e spirituali, accomodando cosí le nostre credenze al predominante orientamento, oppure, attraverso uno sforzo organizzato, istituire una economia socializzata di sicurezza e di abbondanza materiale che liberi l’energia umana per il conseguimento di valori piú alti.

Finché la liberazione delle capacità individuali per una spontanea autonoma espressione, è una parte essenziale del credo del liberalismo, un liberalismo sincero deve pretendere i mezzi che sono la condizione per il raggiungimento dei suoi fini; e la reggimentazione delle forze materiali e meccaniche è la sola via per cui la massa può essere affrancata dalla reggimentazione e dalla conseguente soppressione delle sue possibilità culturali. L’eclissi del liberalismo è dovuta al fatto che esso non ha affrontato le alternative e non ha adottato i mezzi da cui dipende la realizzazione dei fini professati. Il liberalismo può essere fedele ai suoi ideali solo se persegue la via che conduce al conseguimento di essi.

L’opinione che il controllo sociale organizzato delle forze economiche risiede fuori della linea storica del liberalismo, mostra che il liberalismo è ancora impedito dai residui della sua prima fase del laissez faire, con la sua opposizione di società e individuo. Ciò che ora scoraggia l’entusiasmo liberale e ne paralizza gli sforzi, è la concezione che la libertà e lo sviluppo della individualità come fini, escludono l’uso dello sforzo sociale organizzato come mezzi. Il primo liberalismo considerò l’azione economica individuale separata e gareggiante come il mezzo per il benessere sociale come fine; ma noi invece dobbiamo rovesciare la prospettiva e vedere che l’economia socializzata è il mezzo per il libero sviluppo individuale come fine.

È un luogo comune che i liberali si dividano fra coloro che sono prudenti e coloro che amano i tentativi, mentre i reazionari sarebbero legati da una comunanza d’interessi e di costumi. Ma è vero che un accordo fra tesi e credo liberale può essere raggiunto solo con una unità di sforzi; una unità organizzata d’azione accompagnata dal consenso dottrinale progredirà nel grado in cui il controllo sociale delle forze economiche sarà fatto l’obiettivo dell’azione liberale. Il maggiore potere educativo, la maggior forza nel formar le disposizioni e le attitudini degli individui, è il medium sociale in cui essi vivono; e il medium che al presente ci sta piú vicino è quello dell’azione unificata per il fine inclusivo di una economia socializzata.

Ma il conseguimento di uno stato sociale in cui una base di sicurezza materiale liberi le possibilità culturali degli individui non è un lavoro di un giorno; tuttavia un modo c’è di stringere in effettiva unità le presenti attività dei liberali, ora disperse e spesso in conflitto; è quello di concentrarsi sul compito di assicurare una economia socializzata come fondamento e medium per lo sviluppo degli impulsi e delle capacità, che gli uomini sono d’accordo nel chiamare ideali.

Non fa parte di questo lavoro, delineare con dettagli un programma per un liberalismo rinascente; ma la domanda “cosa si deve fare”, non può essere passata sotto silenzio. Le idee devono essere organizzate e questa organizzazione implica un gruppo di persone che sostenga queste idee e la cui fede sia pronta a tradursi in azione. E tradurre in azione significa formulare il credo generale del liberalismo come un programma concreto d’attività. È nell’organizzarsi in azione che i liberali sono deboli, e senza questa organizzazione c’è il pericolo che gli ideali democratici possano andare falliti. La democrazia è stata una fede di combattenti; quando i suoi ideali saranno rinsaldati da quelli del metodo scientifico e d’intelligenza sperimentale, non può darsi che essa sia incapace di risvegliare disciplina, ardore, organizzazione. Restringere l’esito per il futuro a un conflitto fra fascismo e comunismo significa chiamare una catastrofe che può trascinarsi dietro, nella lotta, la civiltà stessa. Un vitale e coraggioso liberalismo democratico è la sola forza che può sicuramente evitare un tale disastroso restringimento della questione dibattuta. Per mio conto non credo che gli statunitensi che vivono nella tradizione di Jefferson e di Lincoln s’infiacchiranno e s’arrenderanno senza uno sforzo generoso per dare alla democrazia una realtà vivente. E questo, lo ripeto, richiede organizzazione.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. I, pagg. 687-689