Tutte
le “colpe” del Campanella si possono riassumere in una sola colpa: quella di
aver voluto la “renovatione del secolo”, e cioè una profonda riforma culturale
e religiosa e politica, che investisse gli uomini e le idee ai fini di una
marcia trionfale di redenzione. Pochi anni dopo essere stato gettato nel
carcere di Napoli, Tommaso Campanella esprime nel canto la propria missione:
Io
nacqui a debellar tre mali estremi:
tirannide,
sofismi, ipocrisia;
ond'or
mi accorgo con quanta armonia
Possanza,
Senno, Amor m'insegnò Temi.
Questi
princípi son veri e supremi
della
scoverta gran filosofia,
rimedio
contro la trina bugia,
sotto
cui tu piangendo, o mondo, fremi.
Carestie,
guerre, pesti, invidia, inganno,
ingiustizia,
lussuria, accidia, sdegno,
tutti
a que' tre gran mali sottostanno,
che
nel cieco amor proprio, figlio degno
d'ignoranza,
radice e fomento hanno.
Dunque
a diveller l'ignoranza io vegno.
Si
potrebbe tentare una individuazione dei “tre mali estremi”, vedendo nei
“sofismi” l'aristotelismo, nella “ipocrisia” le deficienze sociali del tempo,
nella “tirannide” le prepotenze, vissute o teorizzate, della signoria politica;
tutti i mali, osserva il Campanella, vengono da quei tre, ma a loro volta essi
si radicano nell'amor proprio o egoismo, che è figlio dell'ignoranza. Ai tre
mali estremi il Campanella oppone l'armonia insegnatagli da “Temi”, che è la
giustizia, e formata dalla potenza, dal senno e dall'amore (che sono, come si
vedrà, le tre primalità o costanti fondamentali del reale [i tre sommi
magistrati che, insieme al Metafisico, reggono la Città del Sole]); ma se la
radice dei mali è l'egoismo alimentato dall'ignoranza, la missione del
Campanella si rivela innanzitutto una missione illuminatrice: “Dunque a
diveller l'ignoranza io vegno”. Il che vuol dire che l'opera riformatrice del
Campanella intende essere totalitaria, ma ancorata a una radicale riforma
culturale che orienti e alimenti la “renovatione del secolo”.
(G. Di
Napoli, T. Campanella, in Grande Antologia Filosofica, Marzorati,
Milano, 1964, vol. VI, pag. 1430)