Diderot - che vede nella scienza
e nelle sue applicazioni pratiche lo strumento per la costruzione di una
società ordinata e in continuo progresso - non si sottrae al fascino del “mito
del buon selvaggio”: allora sembra dimenticare la distinzione delle funzioni
tra lavoro materiale e lavoro intellettuale, fra artigiano e “ricco”; e invita
a diffidare di chi vuole “mettere ordine”, perché la condizione naturale
dell’uomo è condizione di felicità: e in essa non esiste alcun tipo di
proprietà, tutto è in comune e le parole “mio” e “tuo” sono sconosciute. Nella
pagina che segue un vecchio di Tahiti descrive gli effetti prodotti sulla
società dell’isola dell’arrivo degli Europei.
D. Diderot, Supplemento al
viaggio di Bougainville
Noi siamo innocenti, noi siamo
felici; e tu non puoi che nuocere alla nostra felicità. Noi seguiamo il puro
istinto della natura; e tu hai cercato di cancellarne il carattere dalle nostre
anime. Qui tutto appartiene ad ognuno; e tu ci hai insegnato non so quale
distinzione tra il tuo e il mio. Le nostre figlie e le nostre
donne sono comuni; tu hai condiviso con noi questo privilegio, e hai acceso in
esse furori sconosciuti. Esse sono diventate folli nelle tue braccia, e tu sei
diventato feroce tra le loro. Esse hanno cominciato a odiarsi; voi vi siete
battuti per esse, e ci sono ritornate macchiate del vostro sangue. Noi siamo
liberi; ed ecco che tu hai sotterrato nella nostra terra il simbolo della
nostra schiavitú futura. [...] Noi abbiamo rispettato in te la nostra immagine.
Lasciaci i nostri costumi; essi sono piú saggi e piú onesti dei tuoi: non
vogliamo scambiare ciò che tu definisci la nostra ignoranza con i tuoi lumi
inutili. Noi possediamo tutto ciò che ci è necessario, tutto ciò che è bene per
noi. Siamo forse degni di disprezzo per non aver saputo crearci bisogni
superflui? Quando abbiamo fame, noi abbiamo di che sfamarci; quando abbiamo
freddo, noi abbiamo di che vestirci. Tu sei entrato nelle nostre capanne: che
cosa vi manca, secondo te? Ricerca fin dove vuoi quelle che tu chiami comodità
della vita; ma consenti a esseri forniti di buon senso di arrestarsi quando
essi potranno ottenere soltanto, dalla continuazione dei loro sforzi penosi,
dei beni immaginari [...].
Quanto sarebbe breve il codice
delle nazioni, se si conformasse rigorosamente al codice della natura!
E quanti vizi ed errori sarebbero
risparmiati agli uomini! [...]
Esisteva un tempo un uomo
naturale; all’interno di quest’uomo si è introdotto un uomo artificiale, e
nella caverna si è accesa una guerra continua che dura per tutta la vita.
Talvolta l’uomo naturale è piú forte, talvolta è invece sconfitto dall’uomo
morale e artificiale. [...]
Ma allora, si deve civilizzare
l’uomo, oppure abbandonarlo al suo istinto? - Se si deve rispondere
francamente, dirò che dovete civilizzarlo, se avete intenzione di diventarne il
tiranno: avvelenatelo quanto piú potete di una morale contraria alla natura;
frapponetegli ostacoli di ogni specie; impedite i suoi movimenti in mille modi;
ispirategli fantasmi che lo spaventino; perpetuate la guerra nella caverna, di
modo che l’uomo naturale sia sempre incatenato ai piedi dell’uomo artificiale.
Se invece lo volete felice e libero, non intervenite nelle sue faccende: già
troppi incidenti imprevisti lo condurranno alla luce e alla disperazione; e
restate pur sempre convinti che non è a vostro profitto, ma per proprio
vantaggio, che alcuni saggi legislatori vi hanno costruiti e conformati cosí
come siete. Richiamiamoci a tutte le istituzioni politiche, civili e religiose:
esaminatele profondamente - e, se non mi inganno, vi vedrete la specie umana
piegata di secolo in secolo sotto il giogo che un ristretto numero di
imbroglioni si proponeva di imporle. Diffidate di colui che vuol mettere ordine
[...].
(Gli illuministi francesi,
a cura di P. Rossi, Loescher, Torino, 1987, pagg. 200-202)