In questa
lettura sono presenti due fra le piú famose immagini usate da Dostoevskij per
indicare i pericoli per l’uomo insiti nel razionalismo: il “palazzo di
cristallo” e il “tasto di pianoforte”.
F. M. Dostoevskij, Ricordi dal sottosuolo
Direte che questo avveniva in tempi, relativamente parlando, barbari; che anche il nostro è un tempo barbaro perché (sempre relativamente parlando) anche adesso si ficcano spilloni addosso alla gente; che anche adesso l’uomo, sebbene abbia imparato a vedere in certi casi piú chiaro che nei tempi barbari, è tuttavia ancora lontano dall’essersi abituato ad agire secondo i dettami della ragione e della scienza. Nondimeno voi siete perfettamente convinti che ci si abituerà senza fallo, quando avrà del tutto perdute certe inveterate cattive abitudini, e quando il buonsenso e la scienza avranno rieducata e orientata la natura umana in modo normale. Siete convinti che allora l’uomo la smetterà lui stesso e volontariamente di sbagliare e, se cosí si può dire, per forza non vorrà porre a contrasto la propria volontà coi propri normali interessi. Di piú: voi dite che allora la scienza stessa insegnerà all’uomo (sebbene sia secondo me cosa superflua) che lui in realtà non ha e non ha mai avuto una sua volontà o un suo capriccio, anzi non è altro che un arnese sul genere d’un tasto di pianoforte o d’un pedale d’organo; e che per di piú al mondo ci sono anche le leggi di natura; per modo che qualunque cosa faccia, non avviene affatto per sua volontà, ma di per sé, secondo le leggi della natura. Pertanto basta scoprire queste leggi di natura perché l’uomo non debba piú rispondere delle proprie azioni e perché gli diventi oltremodo facile il vivere. Va da sé che allora tutte le azioni umane saranno matematicamente calcolate secondo quelle leggi, faranno una sorta di tabella di logaritmi, fino a 108.000, e verranno inserite nelle efemeridi; oppure, meglio ancora, ci saranno pubblicazioni benemerite, sul genere degli attuali lessici enciclopedici, in cui ogni cosa verrà calcolata e stabilita tanto esattamente, che al mondo non si daranno piú azioni né avventure.
– Allora, – siete sempre voi che parlate, – si stabiliranno nuove relazioni economiche, anch’esse belle e pronte e calcolate con matematica esattezza, sicché spariranno d’incanto tutti i possibili problemi, appunto perché ci saranno in serbo tutte le possibili soluzioni. E allora costruiremo un palazzo di cristallo. E allora... be’ insomma, allora verrà l’Uccello Kagan. Si capisce, non si può menomamente garantire (stavolta sono io che parlo) che allora per esempio non si crepi di noia (perché, veramente, che fare quando tutto sia già calcolato sulla tabella?), ma in compenso ogni cosa sarà estremamente ragionevole. Però, che cosa non fa fare la noia! Diavolo, anche gli spilloni d’oro si ficcano per noia, ma questo sarebbe ancora niente. Il guaio è (son sempre io che parlo) che magari allora gli spilloni d’oro, ho paura, sarebbero addirittura i benvenuti. Giacché è stupido l’uomo, fenomenalmente stupido. Cioè, non che sia stupido, non lo è per nulla anzi, ma è in compenso tanto sconoscente che a cercarne un altro di tipi come lui non lo si troverebbe. Sicché io non mi meraviglierei punto se, per esempio, senza sapere né come né quando, fra questa futura general ragionevolezza saltasse fuori a un tratto un qualche gentleman dalla fisionomia ignobile, o per meglio dire retriva e beffarda, si mettesse le mani sui fianchi e ci dicesse a tutti: ohè, signori, non sarebbe il caso di dare un calcio a tutta questa ragionevolezza, nell’unico intento di mandare al diavolo tutti i logaritmi e di ricominciare a vivere al nostro porco modo? E passi ancora, ma la cosa scuorante è che di certo costui troverebbe dei seguaci: cosiffatto è l’uomo. E tutto ciò che per un motivo infimo, che, a quanto sembra, non vale neanche la pena di rammentare: e precisamente perché l’uomo, sempre e dovunque e chiunque fosse, ha amato agire come gli è piaciuto, e niente affatto secondo gli dettavano ragione e interesse; giacché si può benissimo voler qualcosa a dispetto del proprio interesse, e anzi talvolta si deve, positivamente si deve (quest’è una mia idea). E questa propria, libera e indipendente volontà, questo proprio, sia pur folle, capriccio, questa fantasia, esasperata magari talvolta fino alla demenza, tutto ciò costituisce quel tale, sempre omesso, interesse degli interessi, che non rientra in nessuna classificazione e che manda costantemente al diavolo tutti i sistemi e tutte le teorie. Ma donde hanno cavato codesti sapientoni che l’uomo ha bisogno di non so che normale e virtuoso volere? Come mai si son ficcati in testa che l’uomo non possa fare a meno d’una volontà ragionevole e consona al proprio tornaconto? L’uomo ha soltanto bisogno d’una volontà indipendente, gli costi questa indipendenza quanto può, e a qualunque punto debba menarlo. Ma poi, la volontà, lo sa il diavolo...
F. M. Dostoevskij, Ricordi dal sottosuolo,
Bur, Milano, 1975, pagg. 45-46