Essendo Dio
sommo bene, Duns Scoto pone al vertice della perfezione divina la volontà e la
libertà ontologica (non psicologica od esistenziale). Poi egli mette a
confronto volontà ed intelletto e dimostra che la volontà è di gran lunga la
facoltà piú perfetta dell'anima umana. Nel rapporto fra volontà ed intelletto
poi si rende manifesta l'influenza della prima sul secondo. A questo punto
Scoto ritiene legittimo mettere in dubbio i sistemi metafisici della filosofia
antica, che hanno la pretesa di imparzialità ed universalità, perché negano la
libertà e quindi l'influenza della volontà sulla ragione. Per questo essi si
devono considerare precristiani, fuori dal cristianesimo.
Ord., II, d. 42, q. 4, n. 5
La volontà non è un principio già per
sua natura determinato a questo o quello, ma che ha il potere di determinare se
stesso a questo o a quello. [...] Orbene un principio attivo tanto piú è
perfetto quanto meno è dipendente, determinato e limitato rispetto all'atto o
effetto: cosí è indice la somma perfezione in Dio il fatto che Egli niente
produca per necessità. E poiché l'intelletto è determinato e limitato rispetto
all'atto, ed è privo del potere di determinarsi all'uno o all'altro, è
necessario assegnare alla volontà il primato della perfezione.
Né contro tale
argomento fondamentale valgono gli argomenti che si adducono in favore della
tesi opposta e che adesso dimostrerò di valore ben inferiore a quanto credono i
loro sostenitori:
1) L'intelletto
è una facoltà piú perfetta perché ha un oggetto piú perfetto e cioè il vero,
che è piú alto e piú nobile del bene. [...] Si risponde: queste proprietà
trascendentali non sono realmente distinte; e quindi non si può dire che una
sia piú nobile dell'altra. [...] Inoltre si potrebbe dire che il bene
universale è certamente piú nobile del bene particolare, ed il vero è un bene
particolare, perché bene del solo intelletto e quindi inferiore al bene in
universale. [...] Né è sicuro che il vero sia oggetto dell'intelletto.
2) La causa
equivoca è piú nobile dell'effetto; ma l'atto dell'intelletto è causa dell'atto
volitivo, e per giunta causa equivoca (ed infatti: posto l'atto
dell'intelletto, si pone l'atto di volontà, tolto l'atto dell'intelletto non si
può porre piú l'atto di volontà). Quindi l'intelletto è piú nobile della
volontà. [...] Si risponde: servendoci dello stesso concetto di causa equivoca
potremmo capovolgere l'argomento. Cosí: la volontà comanda all'intelletto e
quindi l'atto di volontà è causa efficiente rispetto all'atto d'intellezione,
quindi è piú perfetto. Ma analizzando piú a fondo, osserviamo: a rigor di
termini né l'atto dell'intelletto è causa totale dell'atto della volontà, ma
tutt'al piú parziale (ammesso che lo si possa considerare causa): né la volontà
è causa totale dell'intellezione. Invece nell'argomento degli avversari la
maggiore è vera solo se si tratta di una causa equivoca totale; quando si
tratta di causa parziale è vera solo se la causa è d'ordine superiore, come
appunto la volontà che comanda l'intelletto. Questo, invece, se è causa della
volizione, è in ogni caso una causa che sta al servizio della volontà, in
quanto compie la sua azione in ordine alla produzione dell'atto volitivo. Ed
Aristotele, nel IX libro della Metafisica, dice: “ciò che è posteriore per
produzione è primo per perfezione”; la volizione è appunto posteriore alla
conoscenza ed ha ragione di fine rispetto all'atto intellettivo. [...] Posto
l'atto conoscitivo, manca ancora la piú importante causa dell'atto volitivo,
che è la sola volontà, per sua natura fornita di intrinseca libertà.
All'ulteriore
questione se l'intelletto muova la volontà o la volontà muova l'intelletto, la
risposta appare chiara da ciò che finora abbiamo detto: mentre l'appetito
sensitivo si trova, di fronte all'oggetto, nella condizione del mobile di
fronte al movente che l'attrae per necessità naturale, è completamente diversa
invece la condizione dell'appetito intellettivo e cioè della volontà. Questa
infatti è mossa dall'oggetto sempre col sottinteso che potrebbe anche non
lasciarsi condurre; se è mossa, si muove per sua libera decisione: non è
infatti trascinata dall'oggetto, come avviene al senso, ma si determina da se
stessa se seguire l'oggetto, sempre riservandosi il dominio per cui potrebbe
non seguirlo o detestarlo e respingerlo o anche sospendere qualunque volizione.
[...] L'atto dell'intelletto invece è in potere della volontà tanto che la
volontà stessa può staccare l'intelletto da un determinato oggetto
intelligibile e rivolgerlo verso un altro.
(Giovanni Duns
Scoto, Antologia filosofica, La nuova Cultura, Napoli 1966, pagg. 63-64)