Durkheim, Perché la sociologia è utile

Secondo il sociologo positivista Émile Durkheim dobbiamo passare dallo stato attuale, in cui domina l’uso disinvolto di termini imprecisi e confusi, allo stadio scientifico, cioè alla sociologia, la quale non accetta schemi precostituiti e si affida incondizionatamente al dato d’esperienza.

 

É. Durkheim, Le regole del metodo sociologico

 

Allo stato attuale delle nostre conoscenze non sappiamo con certezza che cosa siano lo stato, la sovranità, la libertà politica, la democrazia, il socialismo, il comunismo ecc.: il metodo vorrebbe quindi che si proibisse l’uso di questi concetti, fino a quando non siano stati costruiti scientificamente. E tuttavia i termini che li esprimono tornano incessantemente nelle discussioni dei sociologi. Ci si serve di essi correntemente e con disinvoltura, come se corrispondessero a cose ben note e definite, mentre risvegliano in noi solamente nozioni confuse, mescolanze indistinte di impressioni vaghe, di pregiudizi e di passioni. Oggi ridiamo dei singolari ragionamenti che i medici del Medioevo costruivano con le nozioni di caldo e di freddo, di umido e di secco, e cosí via; e non ci accorgiamo che continuiamo ad applicare lo stesso metodo all’ordine dei fenomeni che meno di ogni altro lo comporta, a causa della sua estrema complessità.

Nei settori specifici della sociologia questo carattere ideologico è ancora piú accusato.

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Tuttavia i fenomeni sociali sono cose e devono venire trattati come cose. Per dimostrare questa proposizione non è necessario filosofare sulla loro natura, né discutere le analogie che presentano con i fenomeni dei domini inferiori; basta constatare che sono l’unico datum offerto al sociologo. È una cosa tutto ciò che è dato, tutto ciò che si offre o che si impone all’osservazione. Considerare i fenomeni come cose significa considerarli in qualità di data che costituiscono il punto di partenza della scienza: i fenomeni sociali presentano incontestabilmente questo carattere. A noi non è data l’idea che gli uomini si fanno del valore, perché essa è inaccessibile; ma ci sono dati i valori che si scambiano realmente nel corso delle relazioni economiche. Non ci è data questa o quella concezione dell’idea morale; ma ci è dato l’insieme delle regole che determinano effettivamente la condotta. Non ci è data l’idea dell’utile o della ricchezza; ma ci è data la molteplicità dell’organizzazione economica. È possibile che la vita sociale sia soltanto lo sviluppo di certe nozioni; ma – anche supponendo che ciò sia vero – tali nozioni non sono date immediatamente. Non possiamo quindi attingerle direttamente, ma soltanto mediante la realtà fenomenica che le esprime. Non sappiamo a priori quali idee si trovano all’origine delle diverse correnti tra cui si divide la vita sociale, e neppure se ve ne siano; soltanto dopo essere risaliti fino alle loro fonti sapremo da dove provengono.

È necessario quindi considerare i fenomeni sociali in se stessi, distaccati dai soggetti coscienti che se li rappresentano; è necessario studiarli dal di fuori come cose esterne dato che si presentano a noi in questa veste. Se questa esteriorità è soltanto apparente, l’illusione si dissiperà col progredire della scienza e vedremo l’esterno – per cosí dire – interiorizzarsi. Ma la soluzione non può essere presupposta; e anche se, alla fine, i fenomeni sociali non avessero tutti i caratteri intrinseci della cosa, bisogna cominciare considerandoli come se li avessero. Questa regola si applica all’intera realtà sociale, senza alcuna eccezione: perfino i fenomeni che sembrano maggiormente consistere in assetti artificiali devono venire considerati da questo punto di vista.

 

F. Tonon, Auguste Comte e il problema storico-politico nel pensiero contemporaneo, G. D’Anna, Messina-Firenze, 1975, pagg. 341-345