Lungi dall'assurdamente convivere con altra tensione umana o modo diverso o complementare o dialettico di vedere il mondo e di volerlo rappresentare, è indiscutibilmente l'unica, irreversibile e immediata "mediazione" ideologico-letteraria di D'Annunzio: il modo esclusivo della sua volontà "conoscitiva" e della sua prassi formale. Di quella fantomatica alterità veramente non c'è traccia alcuna nella vicenda dannunziana: che è monolitica proprio nella sua assoluta dissipazione conoscitivo-espressiva, immobile proprio in quanto governata da una strategia letteraria tutta prammatica e funzionale a un disegno esibizionistico-oratorio, priva di storia perché impossibilitata, ab initio, ad una qualsivoglia ragione problematica e sperimentale. La storia della cultura dannunziana non è che la ricerca mimetica e subalterna di una programmazione vieppiù autorizzante e nobilitante della propria volonta di possesso verbale: dal provvisorio conformismo retorico nei confronti della più illustre e recente tradizione italiana, attraverso la snobistica assimilazione degli atteggiamenti più esteriori delle poetiche europee, fino alla cristallizzazione utilitaria e oratoria del superuomo nietzscheano.
(Arcangelo Leone de Castris, "Il decadentismo italiano" - il "guardaroba dell'eloquenza")