DIOGENE DI ENOANDA, IL VERBO DI EPICURO SCOLPITO SUL PORTICO DI UNA CITTA'

 

Diogene di Enoanda (II secolo d.C.), anziano epicureo, dedica il muro di un portico all'ingresso della città di Enoanda alla trascrizione delle massime del maestro Epicuro: esse possono fungere da efficace introduzione generale al senso della filosofia di Epicuro. In esse, infatti, ne emerge nettamente la aspirazione curativa e eudemonistica, tanto più marcata nel brano in quanto destinata a lenire i turbamenti di un’epoca esplicitamente percepita in sofferenza, a causa delle superstizioni e dei pregiudizi correnti. L’afflato universalistico è forse retaggio del tardo ellenismo, ma la cifra del messaggio è ancora direttamente riconoscibile come epicurea.

Condotto dall’età verso il tramonto della vita, e pronto in ogni istante a prendere congedo dal mondo con un canto malinconico sulla pienezza della mia felicità, ho deciso, per paura di lasciarmi prendere alla sprovvista, di recare soccorso a tutti coloro che sono nella buona disposizione per riceverlo. Se una persona, o due, o tre, o qualunque numero vogliate, fosse in una condizione difficile, e io fossi chiamato in suo aiuto, farei tutto ciò che è in mio potere per dare il mio miglior consiglio. Oggi, come ho detto, la maggior parte degli uomini sono malati, come in un’epidemia; malati delle loro false credenze sul mondo; e il male imperversa, perché se lo trasmettono l’un l’altro come pecore. Inoltre è semplicemente giusto portar soccorso a coloro che verranno dopo di noi; anch’essi sono gente nostra, benché non siano ancora nati. L’amore per gli uomini ci ordina di aiutare gli stranieri che per caso passino di qui. Poi che il messaggio del libro è stato già diffuso fra gli uomini, ho deciso di utilizzare questo muro e di esporre in pubblico il rimedio ai mali dell’umanità.

 

(Diogene di Enoanda)