La dottrina
di Epicuro sulla morte è semplice ed immediata. Il problema non è il fatto del
morire, ma la paura della morte, quel sentimento che tanto ci turba e ci
impedisce di raggiungere la serenità interiore. Come combatterla? La soluzione
di Epicuro è questa: “Quando ci siamo noi, non c’è la morte”. E viceversa.
Epistola a Meneceo, 124-127
1 [...] Abítuati a pensare che nulla è per
noi la morte, poiché ogni bene e ogni male è nella sensazione, e la morte è
privazione di questa. Per cui la retta conoscenza che niente è per noi la morte
rende gioiosa la mortalità della vita; non aggiungendo infinito tempo, ma
togliendo il desiderio dell’immortalità. Niente c’è infatti di temibile nella
vita per chi è veramente convinto che niente di temibile c’è nel non vivere
piú. Perciò stolto è chi dice di temere la morte non perché quando c’è sia
dolorosa ma perché addolora l’attenderla; ciò che, infatti, presente non ci
turba, stoltamente ci addolora quando è atteso. Il piú terribile dunque dei
mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la
morte, quando c’è la morte noi non siamo piú. Non è nulla dunque, né per i vivi
né per i morti, perché per i vivi non c’è, e i morti non sono piú. Ma i piú,
nei confronti della morte, ora la fuggono come il piú grande dei mali, ora come
cessazione dei mali della vita la cercano. Il saggio invece né rifiuta la vita
né teme la morte; perché né è contrario alla vita, né reputa un male il non
vivere. E come dei cibi non cerca certo i piú abbondanti, ma i migliori, cosí
del tempo non il piú durevole, ma il piú dolce si gode. Chi esorta il giovane a
viver bene e il vecchio a ben morire è stolto, non solo per quel che di dolce
c’è nella vita, ma perché uno solo è l’esercizio a ben vivere e ben morire.
Peggio ancora chi dice:
“bello
non esser nato,
ma, nato, passare
al piú presto le soglie dell’Ade”.
[...]
2 Ancora, si ricordi, che il futuro non è né
nostro, né interamente non nostro: onde non abbiamo ad attendercelo sicuramente
come se debba venire, e non disperarne come se sicuramente non possa avvenire.
(Epicuro, Opere, Einaudi, Torino, 1970, pagg. 62-63)