La
tradizione stoica distingueva le cose tra quelle che sono in nostro potere,
quelle che non lo sono e quelle indifferenti. Epitteto semplifica: le cose sono
solamente “di due maniere”; la via per la felicità appare ancora piú chiara.
Manuale, 1
1 Le cose sono di due maniere; alcune in
poter nostro, altre no. Sono in poter nostro la opinione, il movimento
dell’animo, l’appetizione, l’avversione, in breve tutte quelle cose che sono
nostri propri atti. Non sono in poter nostro il corpo, gli averi, la
riputazione, i magistrati, e in breve quelle cose che non sono nostri propri
atti.
2 Le cose poste in nostro potere sono di
natura libere, non possono essere impedite né attraversate. Quelle altre sono
deboli, schiave, sottoposte a ricevere impedimento, e per ultimo sono cose
altrui.
3 Ricordati adunque che se tu reputerai per
libere quelle cose che sono di natura schiave, e per proprie quelle che sono
altrui, t’interverrà di trovare quando un ostacolo quando un altro, essere
afflitto, turbato, dolerti degli uomini e degli Dei. Per lo contrario se tu non
istimerai proprio tuo se non quello che è tuo veramente, e se terrai che sia
d’altri quello che è veramente d’altri, nessuno mai ti potrà sforzare, nessuno
impedire, tu non ti dorrai di niuno, non incolperai chicchessia, non avrai
nessuno inimico, niuno ti nocerà, essendo che in effetto tu non riceverai
nocumento veruno.
(Epitteto, Manuale, Rizzoli, Milano, 1996, pagg. 101-102)