Gli uomini di Chiesa, che
dovrebbero opporsi alle guerre, le sollecitano e prendono parte ad esse con
entusiasmo. Un esempio è stato papa Giulio II, che ha mascherato le sue guerre
dietro nobili immagini e “splendidi titoli” (come la “Lega santa” contro la
Francia). Tutto ciò è in contraddizione con il messaggio cristiano, fondato sul
“Padre nostro”, e con l’esempio dato da Cristo.
Erasmo, Il lamento della pace
Pochi anni fa, quando il mondo
era travolto a prendere le armi da non so quale peste esiziale, alcuni araldi
del Vangelo, frati Minori e Predicatori, dal sacro pulpito davano fiato ai
corni di guerra e ancor piú infervoravano chi già propendeva per quella follia.
In Inghilterra aizzavano contro i Francesi, in Francia animavano contro gli
Inglesi, ovunque spronavano alla guerra. Alla pace non incitava nessuno tranne
uno o due, a cui costò quasi la vita l’aver soltanto pronunciato il mio nome.
Prelati consacrati scorrazzavano un po’ dovunque dimentichi della loro dignità
e dei loro voti, e inasprivano con la loro opera il morbo universale, istigando
ora il pontefice romano Giulio, ora i monarchi ad affrettare la guerra, quasi
che non fossero già abbastanza folli per conto loro. Eppure questa patente
pazzia noi l’avvolgemmo in splendidi titoli. A tal fine sono da noi distorte
con somma impudenza – dovrei dire con sacrilegio – le leggi dei padri, gli
scritti di uomini santi, le parole della Sacra Scrittura. Le cose sono giunte a
tal punto che risulta sciocco e sacrilego pronunciarsi contro la guerra ed
elogiare l’unica cosa elogiata dalla bocca di Cristo. Appare poco sollecito del
bene del popolo e tiepido sostenitore del sovrano chi consiglia il massimo dei
benefici e scoraggia dalla massima delle pestilenze.
Ormai i sacerdoti seguono perfino
le armate, i vescovi le comandano, abbandonando le loro chiese per occuparsi
degli affari di Bellona. Ormai la guerra produce addirittura sacerdoti,
prelati, cardinali ai quali il titolo di legato al campo sembra onorifico e degno
dei successori degli Apostoli. Per cui non fa meraviglia se hanno spirito
marziale coloro che Marte ha generato. Per rendere poi il male insanabile,
coprono un tale sacrilegio col sacro nome della religione. Sugli stendardi
sventola la croce. Armigeri spietati e ingaggiati per poche monete a compiere
macelli spaventosi innalzano l’insegna della croce, e simboleggia la guerra il
solo simbolo che dalla guerra poteva dissuadere. Che hai a che fare con la
croce, scellerato armigero? I tuoi sentimenti, i tuoi misfatti convenivano ai
draghi, alle tigri, ai lupi. Quel simbolo appartiene a Colui che non
combattendo ma morendo colse la vittoria, salvò e non distrusse; da lí
soprattutto potevi imparare quali sono i tuoi nemici, se appena sei cristiano,
e con quale tattica devi vincere. Tu innalzi l’insegna della salvezza mentre
corri alla perdizione del fratello, e fai perire con la croce chi dalla croce
fu salvato? Ma che! Dai sacri e adorabili misteri trascinati anch’essi per gli
accampamenti, da queste somme raffigurazioni della concordia cristiana si corre
alla mischia, si avventa il ferro spietato nelle viscere del fratello e sotto
gli occhi di Cristo si dà spettacolo della piú scellerata delle azioni, la piú
gradita ai cuori empi: se pure Cristo si degni di essere là. Colmo poi
dell’assurdo, in entrambe le armate, in entrambi gli schieramenti brilla il
segno della croce, in entrambe si celebra il sacrificio. Quale mostruosità è
questa? La croce in conflitto con la croce, Cristo in guerra con Cristo. È un
simbolo fatto per atterrire i nemici della cristianità: perché adesso
combattono quello che adorano? Uomini degni non di quest’unica croce, ma della
croce patibolare.
Ditemi, come il soldato può
recitare il “Padre nostro” durante queste messe? Bocca insensibile, osi
invocare il Padre mentre miri alla gola del tuo fratello? “Sia santificato il
tuo nome”: come si potrebbe sfregiare il nome di Dio piú che con queste vostre
risse? “Venga il tuo regno”: cosí preghi tu che su tanto sangue erigi la tua
tirannide? “Sia fatta la tua volontà, come in cielo, cosí anche in terra”: Egli
vuole la pace, tu prepari la guerra. “Il pane quotidiano” chiedi al Padre
comune mentre abbruci le messi del fratello e preferisci che vadano perse anche
per te piuttosto che giovare a lui? Infine come puoi pronunciare con la lingua
le parole “e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai
nostri debitori” mentre ti lanci a un fratricidio? Scongiuri il rischio della
tentazione mentre con tuo rischio getti nel rischio il fratello. “Dal male”
chiedi di essere liberato mentre ti proponi di causare il massimo male al
fratello?
Erasmo da Rotterdam, Il lamento
della pace, Einaudi, Torino, 1990, pagg. 51-55