Giuseppe
Ferrari afferma che la metafisica si pone fra la religione e la scienza: ma se
“la favola religiosa” ha almeno il pregio di ottenere un vasto appoggio
popolare, la metafisica è solitaria e sterile.
G. Ferrari, Filosofia della rivoluzione
La metafisica non sapeva neppure rendersi ragione della propria sterilità, perché si sapeva solitaria senza sapersi estranea alla scienza e condannata a starsi inutile tra la scienza e la religione. Quando i metafisici parlano della loro propria impotenza, vaneggiano: accusano la bassa plebe dei mortali, a loro dire, incapaci di reggere all’altezza dei loro concetti; si dicono esseri privilegiati, sfoggiano i lunghi studi, il linguaggio tecnico, la sottigliezza perseverante del riflettere, e van superbi della loro solitudine. Miseri pretesti. La metafisica aspira al dominio del mondo, tale è la sua pretensione; se non vince la religione, è vinta; perché dunque la vediamo eternamente sconfitta? Perché il popolo non l’intende? Spetta ad essa di giungere fino al popolo, il quale reca in atto le teorie dei fisici piú sagaci, dei matematici piú astrusi. Accordasi che la metafisica deve essere coltivata dai metafisici, come la chimica dai chimici; si lascia ad ogni dotto il monopolio inevitabile della sua specialità: ma si obbedisce, si accettano le invenzioni, si applicano le piú difficili scoperte. Perché non si applica la metafisica? Essa non è né piú difficile, né piú complicata della religione, reclama minore studio, ma non è positiva come la religione, e deve rimanere nel vuoto. Questo le dissero a buon diritto in due lingue diverse i teologi ed i fisici.
I Padri l’accusarono per tempo d’esser varia, inconsistente, contraddittoria nei suoi sistemi; dicevansi unanimi essi per la fede infallibili, mentre le scuole filosofiche predicavano or l’acqua, or l’aria, ora il fuoco, ora l’idea, or l’essenza, senza tregua né posa, alle loro mutazioni. Che poteva rispondere la metafisica, condannata ad un continuo errare dai suoi capi, sempre solitari, senza tradizioni, confinati nelle antinomie, le quali spingevanli a cercare un vero ch’era impossibile a scoprirsi? I Padri, i dottori, i teologi muovono a nausea quando vogliono trarre dalle variabilità delle opinioni filosofiche la necessità di accettare la lor favola; sono strani quando si pretendono infallibili per ciò stesso che altri erra, quando si vantano esenti da ogni contesa, da ogni incertezza, essi condannati a contese eterne, e rappresentanti di seguaci che si maledicono, si combattono e si abbruciano a vicenda: ma resta incontestabile, che la favola religiosa riunisce le moltitudini, il suo variare fa variare i popoli, il suo lottare fa spargere il sangue, le sue modificazioni modificano la civiltà; in una parola, rimane incontestabile, che la religione è sociale, la metafisica solitaria.
Grande Antologia filosofica, Marzorati, Milano, 1975, vol. XXIII, pag.
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