I miracoli
sono l’eccezione dalla regola ed esprimono quella potenza sulla natura che
l’uomo non possiede. Se non esistessero i miracoli, non esisterebbe neppure
Dio, ma solo la natura con le sue leggi.
L. Feuerbach, L’essenza della religione
La bontà è la proprietà essenziale degli dei, ma come possono essere buoni se non sono onnipotenti, se non sono liberi dalle leggi della provvidenza naturale, cioè dalle catene della necessità naturale, se, nei casi individuali, quelli in cui è in gioco la vita o la morte, non si dimostrano signori della natura, ma insieme amici e benefattori degli uomini – se, dunque, non fanno miracoli? Gli dei, o piuttosto, la natura ha dotato l’uomo di forze fisiche e spirituali che gli consentano di mantenersi in vita. Ma questi mezzi naturali di autoconservazione sono sempre sufficienti? Non vengo a trovarmi spesso in situazioni nelle quali sono irrimediabilmente perduto se una mano soprannaturale non ferma il corso cieco dell’ordine della natura? L’ordine della natura è buono; ma è sempre buono? Questa pioggia persistente, questa persistente siccità sono, per es., del tutto conformi a natura; ma se gli dei non intervengono, se non tolgono la siccità, non accadrà forse che io, la mia famiglia, questo stesso popolo dovremo perire in conseguenza di essa? I miracoli sono quindi inseparabili dal governo e dalla provvidenza divina, sono le uniche prove, le uniche rivelazioni e manifestazioni degli dei come forze ed enti diversi dalla natura; togliere i miracoli significa togliere gli dei. In che cosa si differenziano gli dei dall’uomo? Solo per il fatto che essi sono senza termini ciò che gli uomini sono coi termini, che essi, in particolare, sono sempre ciò che gli uomini sono temporaneamente, momentaneamente soltanto. Gli uomini vivono – vitalità è divinità, vitalità è la proprietà essenziale, la condizione fondamentale della divinità – ma, purtroppo, non vivono sempre, ma muoiono – gli dei invece sono gli immortali, coloro che vivono eternamente; anche gli uomini sono felici, ma non continuamente, come gli dei; anche gli uomini sono buoni, ma non sempre, e secondo Socrate la differenza della divinità dall’umanità è da ricercarsi proprio nel fatto che la prima è sempre buona; anche gli uomini, secondo Aristotele, godono della divina beatitudine del pensare, ma in essi l’attività spirituale viene interrotta da altre funzioni e da altre attività. Gli dei e gli uomini hanno dunque le stesse proprietà, le stesse regole di vita – con la sola differenza che i primi non hanno, e i secondi hanno limitazioni ed eccezioni. Come la vita ultraterrena non è altro che la continuazione, non interrotta dalla morte, di questa vita, cosí l’essenza divina non è altro che la continuazione, non interrotta dalla natura in generale, della essenza umana – l’essenza, interrotta e limitata, dell’uomo. Ma i miracoli come si distinguono, allora, dagli effetti della natura? Proprio come gli dei si distinguono dagli uomini. Il miracolo rende buono, o almeno innocuo, un effetto o una proprietà della natura che in questo caso particolare non è buono; esso fa sí che io non affondi e non affoghi nell’acqua se ho la sfortuna di cadervi dentro, che il fuoco non mi bruci, che la pietra che cade sulla mia testa non mi ammazzi, fa sí, in parole povere, che l’ente ora benefico ora nocivo, ora amico e ora nemico dell’uomo diventi un ente sempre buono. Gli dei e i miracoli devono la loro esistenza soltanto all’eccezione dalla regola. La divinità è il superamento delle deficienze e dei termini dell’uomo – che sono la causa, appunto, delle eccezioni dalla regola – il miracolo è il superamento delle deficienze e dei termini della natura. Gli enti naturali sono enti determinati e quindi limitati. Questo loro termine è, nei casi abnormi, la ragione per cui questi ultimi sono perniciosi per l’uomo; ma, agli occhi della religione, esso non è un limite necessario, ma arbitrario, posto da Dio e che quindi può esser tolto se ciò è richiesto dal bisogno, cioè dal bene, dell’uomo. Rifiutare i miracoli col pretesto che essi non convengono alla dignità e alla sapienza di Dio, sapienza per la quale egli ha fissato e predeterminato fin dall’inizio e per l’eternità tutto ciò che è il meglio, significa sacrificare l’uomo alla natura, e la religione all’intelletto, significa predicare l’ateismo in nome di Dio. Un Dio il quale adempie soltanto quelle preghiere e quei desideri degli uomini che si possono realizzare anche senza di lui, e il cui compimento non esce dall’ambito dei limiti e delle condizioni delle cause naturali, un Dio, dunque, che soccorre gli uomini fintanto che soccorrono arte e natura, ma che cessa di soccorrere quando la materia medica è finita, un tale Dio non è altro che la necessità naturale, celata o personificata sotto il nome di Dio.
L. Feuerbach, L’essenza della religione,
Laterza, Bari, 1972, pagg. 108-111