Secondo
Feuerbach l’uomo e Dio sono considerati l’uno l’opposto dell’altro, ma questa
antitesi è soltanto una scissione interna all’uomo stesso. Dio è in realtà
un’opera di oggettivazione compiuto dalla ragione.
L. Feuerbach, L’essenza del cristianesimo,
III
La religione è la scissione dell’uomo con se stesso: egli si pone di fronte Dio come un essere contrapposto. Dio non è ciò che è l’uomo, l’uomo non è ciò che è Dio. Dio è l’essere infinito, l’uomo è l’essere finito; Dio è perfetto, l’uomo è imperfetto; Dio è eterno, l’uomo temporale; Dio è onnipotente, l’uomo impotente; Dio è santo, l’uomo peccatore. Dio e l’uomo sono estremi: Dio è il polo positivo, la somma di tutte le realtà, l’uomo il polo negativo, la somma di tutte le nullità.
Ma l’uomo ha, nella religione, come oggetto, il suo essere ignoto. Si deve, quindi, dimostrare che questa antitesi, questa disarmonia tra Dio e l’uomo, onde trae origine la religione, è una disarmonia dell’uomo con il suo proprio essere. L’intima necessità di questa dimostrazione scaturisce già dal fatto che, se realmente l’essere divino, che è l’oggetto della religione, fosse qualcosa di diverso dall’essere dell’uomo, non potrebbe verificarsi una scissione, una disarmonia. Se realmente Dio è un altro essere, che cosa mi importa della sua perfezione? Scissione c’è solo tra esseri che sono in discordia l’uno con l’altro, ma devono essere un solo essere, possono esserlo e, di conseguenza, essenzialmente, veramente, sono un solo essere. Deve, quindi, già da questo principio generale, risultare che l’essere, dal quale l’uomo si sente scisso, è un essere a lui innato, ma contemporaneamente un essere di natura diversa, come l’essere o il potere che gli dà il sentimento, la coscienza della conciliazione, dell’unità con Dio o, ciò che fa tutt’uno, con se stesso.
Questo essere non è nient’altro che l’intelligenza, la ragione o l’intelletto. Dio, concepito come l’estremo opposto dell’uomo, non come un essere umano, cioè personalmente umano, è l’essere oggettivato dell’intelletto. L’essere divino, puro, perfetto, privo di difetti è l’autocoscienza dell’intelletto, la coscienza, dell’intelletto, della propria perfezione. L’intelletto non conosce le sofferenze del cuore: non ha desideri, passioni, bisogni e, proprio per questo, nessuna deficienza o debolezza, come il cuore.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pag.
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