Fichte,
pur ritenendosi il continuatore e l’interprete della filosofia di Kant,
l’accusa di basarsi sulla indimostrata esistenza della “cosa in sé”: a questo dogmatismo egli contrappone l’idealismo,
fondato sulla assoluta libertà di pensiero del soggetto.
J. G. Fichte, Prima
introduzione alla Dottrina della Scienza
Un essere ragionevole finito non dispone di
nient’altro all’infuori dell’esperienza: è l’esperienza che contiene l’intera
materia del suo pensiero. Il filosofo sottostà necessariamente alle stesse
condizioni. Sembra dunque impossibile pensare ch’egli possa elevarsi al di
sopra dell’esperienza.
Ma egli ha la possibilità di astrarre, cioè a
dire separare, mediante la libertà del pensiero, ciò che nell’esperienza è
unito. Nella esperienza la cosa, e cioè ciò che è determinato
indipendentemente dalla nostra libertà e a cui la nostra conoscenza si rivolge,
e l’intelligenza, che ha la funzione di conoscere, sono inscindibilmente
unite. Il filosofo può prescindere dall’una o dall’altra, e ha cosí astratto
dall’esperienza, si è elevato sopra di essa. Se prescinde dalla cosa gli
rimane, a giustificare l’esperienza, un’intelligenza in sé; se prescinde
dall’intelligenza gli rimane, a giustificare l’esperienza, una cosa in sé.
Nel primo caso fa astrazione dal rapporto dell’intelligenza con l’esperienza;
nel secondo fa astrazione dal fatto che la cosa si presenta nell’esperienza. Il
primo procedimento si chiama idealismo, il secondo dogmatismo.
Da tutto ciò risulta abbastanza evidente che
questi due sono gli unici sistemi filosofici possibili. [...]
Il contrasto tra l’idealista e il dogmatico
consiste propriamente in ciò: se l’autonomia dell’io debba essere sacrificata a
quella della cosa o viceversa. Che cos’è dunque che induce un uomo ragionevole
a decidersi per l’una cosa piuttosto che per l’altra? [...].
Di questi due termini [io e cosa], uno solo
può essere il primo, l’originario, l’indipendente: quello che è secondo non
diventa necessario se non per il fatto che è il secondo, dipendente dal primo,
al quale ha da essere legato.
Quale di questi due termini dev’essere fatto
primo? La ragione non è in grado di fornire un principio che risolva
l’alternativa, poiché si tratta non di collegare un membro all’interno d’una
serie, per il che principî di ragione sarebbero sufficienti, ma di cominciare
la serie intera, il che, essendo un atto assolutamente primo, non dipende che
dalla libertà del pensiero. Tale atto è dunque determinato dall’arbitrio, e,
dato che la decisione dell’arbitrio deve pure avere una ragione, dall’inclinazione
e dall’interesse. La ragione ultima della differenza fra idealista e
dogmatico è perciò la differenza del loro interesse.
L’interesse supremo, principio di ogni altro
interesse, è quello che abbiamo per noi stessi. Il che vale anche per il
filosofo. [...]
La scelta di una filosofia dipende da quel
che si è come uomo, perché un sistema filosofico non è un’inerte suppellettile,
che si può lasciare o prendere a piacere, ma è animato dallo spirito che un
uomo ha. Un carattere fiacco di natura o infiacchito e piegato dalle
frivolezze, dal lusso raffinato e dalla servitú spirituale, non potrà mai
elevarsi all’idealismo.
Si può mostrare al dogmatico l’insufficienza
e l’inconseguenza del suo sistema, secondo quanto diremo tosto, lo si può
tormentare e confondere in ogni senso, ma non lo si può convincere, perché egli
non sa ascoltare e saggiare pacatamente e freddamente una dottrina che egli non
può assolutamente tollerare. Per esser filosofi - posto che l’idealismo si
confermi come l’unica vera filosofia - bisogna esser nati tali, essere stati
educati tali, e tali educarsi: non c’è arte umana che valga a far diventar
filosofo. È per ciò che questa scienza si ripromette pochi proseliti fra gli uomini
già fatti: se le è dato d’avere qualche speranza, essa lo ripone nella
gioventú, la cui congenita energia non s’è ancora rovinata nella fiacchezza dei
nostri tempi.
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVII,
pagg. 955-958)