Foucault, Morte di Dio, morte dell’uomo

In questa lettura Michel Foucault ci presenta una sua originale interpretazione del famoso aforisma di Nietzsche sulla “morte di Dio”.

 

M. Foucault, Le parole e le cose, trad. it. di E. Panaitescu, Rizzoli, Milano, 1977, pagg. 411-412

 

Ai nostri giorni, e Nietzsche anche qui indica da lontano il punto d’inflessione, si afferma non tanto l’assenza o la morte di Dio, quanto la fine dell’uomo (quel sottile, impercettibile scarto, quell’arretramento nella forma dell’identità, che hanno portato la finitudine dell’uomo a convertirsi nella sua fine); si scopre a questo punto che la morte di Dio e l’ultimo uomo sono strettamente legati: non è appunto l’ultimo uomo che annuncia di aver ucciso Dio, ponendo in tal modo il proprio linguaggio, il proprio pensiero, il proprio riso nello spazio del Dio già morto, ma proponendosi anche come colui che ha ucciso Dio e la cui esistenza include la libertà e la decisione di tale delitto? Cosí, l’ultimo uomo è, a un tempo, piú vecchio e piú giovane della morte di Dio; avendo ucciso Dio, è lui stesso che deve rispondere alla propria finitudine; ma dal momento che parla, pensa ed esiste entro la morte di Dio, il suo crimine stesso è destinato a morire; nuovi dei, identici, già gonfiano l’Oceano futuro; l’uomo scomparirà. Piú che la morte di Dio – o meglio nella scia di tale morte e in una correlazione profonda con essa – il pensiero di Nietzsche annuncia la fine del suo uccisore: ossia l’esplosione del volto dell’uomo nel riso, e il ritorno delle maschere: la dispersione della profonda colata del tempo da cui l’uomo si sentiva portato e di cui sospettava la pressione nell’essere stesso delle cose; l’identità tra il ritorno del Medesimo e l’assoluta dispersione dell’uomo. Durante l’intero XIX secolo, la fine della filosofia e la promessa d’una cultura prossima coincidevano probabilmente con il pensiero della finitudine e l’apparizione dell’uomo nel sapere; oggi il fatto che la filosofia sia sempre e ancora sul punto di scomparire, e il fatto che forse in essa, ma piú ancora fuori di essa e contro di essa, nella letteratura come nella riflessione formale, si pone il problema del linguaggio, dimostrano probabilmente che l’uomo sta sparendo.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. III, pag. 215