Nella sua opera Il
disagio della civiltà (1929) S. Freud sviluppa stimolanti riflessioni
sull’evoluzione della civiltà e sulle sue conseguenze rispetto alla felicità o
infelicità dell’individuo. Nonostante i grandi progressi realizzati, la civiltà
provoca nell’uomo un diffuso malessere, in quanto ogni società tende a
reprimere la vita libidica dell’individuo impedendo il soddisfacimento di molti
suoi bisogni profondi e instaurando nel suo animo sensi di colpa. S. Freud si
dichiara piuttosto pessimista sulla possibilità da parte della civiltà di
riuscire a padroneggiare “i turbamenti della vita collettiva provocati dalle
pulsioni aggressive e autodistruttive degli uomini".
S. Freud, Il disagio della
civiltà, 3
È tempo che ci occupiamo dell’essenza di questa nostra
civiltà, il cui valore ai fini della felicità è stato messo in dubbio. Non
cercheremo formule che esprimano quest’essenza nel giro di poche parole, finché
non avremo imparato qualcosa da un esame piú attento Ci accontenteremo dunque
di ripetere che la parola “civiltà” designa la somma delle realizzazioni e
degli ordinamenti che differenziano la nostra vita da quella dei nostri
progenitori animali e che servono a due scopi: a proteggere l’umanità dalla
natura e a regolare le relazioni degli uomini tra loro. Per capirne di piú,
esamineremo nei dettagli tutte le caratteristiche della civiltà, cosí come esse
si manifestano nelle comunità umane. Senza esitare ci lasceremo guidare dall’uso
comune del linguaggio o, come anche si dice, dal nostro senso del linguaggio,
fiduciosi che in questo modo renderemo giustizia a intimi convincimenti che
ancora si ribellano a essere espressi in parole astratte.
L’inizio è facile: civili sono per noi tutte le attività e
i valori che sono utili all’uomo per piegare la terra al suo servizio, per
proteggerlo dalla violenza delle forze naturali e cosí via. Su questo aspetto
della civiltà vi sono pochissimi dubbi. Risalendo sufficientemente addietro nel
tempo, i primi atti di civiltà furono l’uso degli utensili, l’addomesticamento
del fuoco, la costruzione di abitazioni. Tra essi, l’addomesticamento del fuoco
spicca come una conquista straordinaria e senza precedenti; mediante gli altri,
l’uomo si aprí una strada che da allora ha sempre seguíto, spinto da qualcosa
che non è difficile indovinare. Con gli utensili di cui entra in possesso,
l’uomo perfeziona i suoi organi – motori e sensori – oppure sposta le frontiere
della loro azione. I motori gli mettono a disposizione forze immani, le quali,
come i suoi muscoli, possono essere impiegate in qualsiasi direzione; navi e
aeroplani fanno sí che né l’acqua né l’aria possano piú ostacolare i suoi
movimenti. Con gli occhiali corregge i difetti delle sue lenti oculari, col
telescopio scruta spazi immensi, col microscopio sconfigge i limiti posti alla
visibilità dalla struttura della retina. Con la macchina fotografica ha creato
uno strumento che fissa le impressioni fuggevoli della vista; il disco
grammofonico riesce a fare lo stesso per le sensazioni altrettanto transitorie
dell’udito materializzazioni entrambe, in definitiva, del suo potere di
ricordare, cioè della sua memoria. Con l’aiuto del telefono può udire a
distanze che neppure le fiabe avrebbero osato immaginare. Lo scritto è in
origine la voce dell’assente; la casa è una sostituzione del ventre materno,
della prima dimora cui con ogni probabilità l’uomo non cessa di anelare,
giacché in essa egli si sentiva al sicuro e a proprio agio.
Queste cose non solo appaiono fiabesche, sono in effetti
l’appagamento di tutti, o meglio di quasi tutti i desideri delle fiabe: e sono
cose che l’uomo, grazie alla scienza e alla tecnica, ha realizzato su questa
terra dove apparí dapprima come una debole creatura animale e nella quale ogni
individuo della sua specie (oh inch of nature!) torna a fare il suo
ingresso come lattante indifeso. Tutto questo patrimonio egli può proclamarlo
un’acquisizione della civiltà. Da lungo tempo egli si era fatto una
rappresentazione ideale dell’onnipotenza e dell’onniscienza, cui diede corpo
nei suoi dèi. Ad essi assegnò tutto quel che pareva irraggiungibile ai suoi
desideri, o era proibito. Possiamo dunque dire che questi dèi erano ideali di
civiltà. Oggi egli si è avvicinato molto al raggiungimento di questi ideali, è
diventato egli stesso quasi un dio. Certamente ciò è avvenuto solo nella guisa
in cui, per generale giudizio umano, gli ideali sogliono realizzarsi, e cioè
non completamente: per alcune parti in nulla affatto, per altre solo a metà. L’uomo
è per cosí dire divenuto una specie di dio-protesi, veramente magnifico quando
è equipaggiato di tutti i suoi organi accessori; questi, però, non formano un
tutt’uno con lui e ogni tanto gli danno ancora del filo da torcere. Si consoli
tuttavia: questa evoluzione non finirà nell’anno del Signore 1930. Le età
future riservano nuovi e forse inimmaginabili passi avanti in questo campo che
appartiene alla civiltà, e accresceranno ancora la somiglianza dell’uomo con
Dio. Pure, nell’interesse della nostra indagine, non dimentichiamo che l’uomo
d’oggi, nella sua somiglianza con Dio, non si sente felice.
(S. Freud, Opere,
Boringhieri, Torino, 1989, vol. X, pagg. 580-582)