In queste pagine, tratte da una delle opere piú conosciute
di Erich Fromm (1900-1980), vengono indicate le condizioni esistenziali che
rendono possibile una trasformazione dell’uomo e la creazione di una nuova
società; la prospettiva di liberazione delineata da Fromm si basa sulla
capacità dell’uomo nuovo di rinunciare a tutte le forme di “avere” per
“essere”, cioè fare “della piena crescita di se stesso e dei propri simili lo
scopo supremo dell’esistenza”.
E. Fromm, Avere o essere,
VIII
Partendo dal
presupposto che la premessa risponda al vero, che cioè soltanto un mutamento
sostanziale del carattere umano, vale a dire il passaggio dalla preponderanza
della modalità dell’avere a una preponderanza della modalità dell’essere, possa
salvarci dalla catastrofe psicologica ed economica, bisogna chiedersi: è
davvero possibile una trasformazione caratterologica su larga scala? E, in caso
affermativo, come fare a produrla?
A mio giudizio, il carattere umano può mutare a patto che
sussistano le seguenti condizioni:
1 Che si sia consapevoli dello stato di sofferenza in cui
versiamo.
2. Che si riconosca l’origine del nostro malessere.
3. Che si ammetta che esiste un modo per superare il
malessere stesso.
4. Che si accetti l’idea che, per superare il nostro
malessere, si devono far nostre certe norme di vita e mutare il modo di vivere
attuale.
I quattro punti corrispondono alle Quattro Nobili Verità
che costituiscono il fondamento dell’insegnamento del Buddha relativo alle
condizioni generali dell’esistenza umana, ancorché esso non s’applichi a casi
specifici di malessere umano dovuti a particolari circostanze individuali e
sociali.
Lo stesso principio di mutamento che caratterizza i metodi
del Buddha, è sotteso anche all’idea marxiana di salvezza. Per capirlo appieno,
è necessario rendersi conto che per Marx, come egli stesso ha detto, il
comunismo, lungi dall’essere una meta definitiva, era un gradino dello sviluppo
storico destinato a liberare gli esseri umani da quei condizionamenti
socioeconomici e politici che ci rendono inumani vale a dire prigionieri di
cose, di macchine e della nostra stessa brama di possesso.
Il primo compito che Marx si proponeva, era di rivelare
alla classe lavoratrice dell’epoca sua, la piú alienata e miserabile delle
categorie sociali, che essa si trovava in un effettivo stato di sofferenza; il
suo tentativo era volto a distruggere le illusioni che avevano per effetto di
obnubilare, nei lavoratori, la consapevolezza della propria miseria. Il secondo
compito che Marx si proponeva, era di indicare le cause di questo stato di
sofferenza che, come faceva rilevare, andavano ricercate nella natura del
capitalismo e nella situazione di brama, avarizia e dipendenza, frutto del
sistema capitalistico stesso. Tale analisi delle cause della sofferenza dei
lavoratori (ma non soltanto di essi) costituí la molla di fondo dell’opera
principale di Marx, l'analisi dell’economia capitalistica.
Il terzo compito che si proponeva era di dimostrare che la
sofferenza poteva essere eliminata rimuovendo le condizioni che la producono;
infine, egli si ripromise di indicare la nuova prassi di vita, il nuovo sistema
sociale che avrebbe ignorato le sofferenze necessariamente prodotte dal vecchio
sistema.
Sostanzialmente simile era il metodo di cura introdotto da
Freud. I pazienti si recavano a consultarlo perché soffrivano ed erano consci
della propria sofferenza: per lo piú, tuttavia, non erano consapevoli delle
ragioni della loro sofferenza. Di norma, il primo compito dello psicoanalista
consiste nell’aiutare i pazienti a sbarazzarsi delle proprie illusioni circa la
sofferenza che provano e imparare a riconoscere di che cosa consista realmente
il loro malessere. La diagnosi della natura del malessere individuale o sociale
è una questione di interpretazioni, e le interpretazioni possono essere diverse
a seconda delle varie tendenze; comunque, può dirsi che nella stragrande
maggioranza dei casi il dato cui si può fare minore affidamento ai fini di una
diagnosi, è proprio il quadro che il paziente stesso dà della propria
sofferenza, e la sostanza del procedimento psicoanalitico consiste appunto
nell'aiutare i pazienti ad assumere consapevolezza delle cause del loro
malessere.
Conseguenza di questa raggiunta consapevolezza, è che i
pazienti sono in grado di compiere il passo successivo, rendersi cioè conto che
il loro malessere può essere curato a patto che se ne eliminino le cause.
Secondo la concezione di Freud, a tale scopo era necessario togliere di mezzo
la repressione frutto di certi eventi infantili. Tuttavia, la psicoanalisi
tradizionale a quanto sembra, nel complesso non concorda sulla necessità anche
di una fase successiva, corrispondente all’ultimo degli intenti di Marx dianzi
indicati. Si direbbe insomma che molti psicoanalisti ritengano che affondare lo
sguardo nel represso abbia di per sé effetti curativi. In realtà, è appunto
quanto accade spesso, soprattutto quando il paziente rivela sintomi
circoscritti, a esempio di tipo isterico od ossessivo. A mio giudizio,
tuttavia, nulla di duraturo può essere ottenuto con persone le quali soffrono
di uno stato di malessere generale, e per le quali è necessaria una
trasformazione del carattere, che quindi devono mutare la propria pratica di
vita in accordo con il cambiamento di carattere al quale aspirano. Cosí a
esempio, si può continuare ad analizzare in eterno la dipendenza di questo o
quell’individuo, ma tutte le intuizioni alle quali si perverrà in tal modo non
caveranno un ragno dal buco finché l’individuo continuerà a trovarsi nella stessa
situazione pratica in cui viveva prima di giungere a comprendersi. Un semplice
esempio varrà a chiarire meglio quanto s’è detto: una donna la cui sofferenza
abbia radici nel suo stato di dipendenza dal padre, per quanto si renda conto
delle cause profonde della dipendenza stessa non muterà davvero, a meno che non
muti la propria pratica di vita, per esempio separandosi dal padre, non
accettandone favori, affrontando il rischio e il dolore comportati da questo
avvio pratico all’indipendenza; La comprensione separata dalla pratica rimane
inefficace.
L’uomo nuovo
La funzione della nuova società è di incoraggiare il
sorgere d’ un uomo nuovo, la cui struttura caratteriale abbia le seguenti
qualità:
Disponibilità a rinunciare a tutte le forme di avere, per essere
senza residui.
Sicurezza, sentimento di identità e fiducia fondate sulla
fede in ciò che si è, nel proprio bisogno di rapporti, interessi, amore,
solidarietà con il mondo circostante, anziché sul proprio desiderio di avere,
di possedere, di controllare il mondo, divenendo cosí schiavo dei propri
possessi.
Accettazione del fatto che nessuno e nulla al di fuori di
noi può dare significato alla nostra vita, ma che questa indipendenza e
distacco radicali dalle cose possono divenire la condizione della piena
attività volta alla compartecipazione e all’interesse per gli altri.
Essere davvero presenti nel luogo in cui ci si trova.
La gioia che proviene dal dare e condividere, non già
dall'accumulare e sfruttare.
(E. Fromm, Avere o essere,
Mondadori, Milano, 1978, pagg. 218-221)