II mito di Edipo offre un eccellente esempio
dell'applicazione del metodo freudiano e allo
stesso tempo un'ottima occasione per considerare il problema sotto una prospettiva
diversa, secondo la quale non i desideri sessuali, ma uno degli aspetti
fondamentali delle relazioni tra varie persone,
cioè l'atteggiamento verso le autorità, è considerato il tema centrale del
mito. Ed è allo stesso tempo una illustrazione delle distorsioni e dei cambiamenti
che i ricordi di forme sociali e di idee più antiche subiscono nella formazione
del testo evidente del mito. Freud scrive: « Se Edipo Re è in grado di scuotere l'uomo moderno come ha scosso i greci
suoi contemporanei, ciò non può che significare che l'effetto della tragedia greca
non è basato sul contrasto tra destino e volontà umana, ma sulla particolarità della materia sulla quale questo
contrasto viene mostrato. Deve esistere nel nostro intimo una voce pronta a
riconoscere nell'Edipo
la forza coercitiva del destino, mentre soggetti come quello della Bisavola o di altre simili tragedie del destino ci fanno un'impressione di
arbitrarietà, e non ci toccano. Ed effettivamente nella storia di Re Edipo è
contenuto un tale motivo. Il suo destino ci scuote soltanto perché avrebbe
potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l'oracolo
ha pronunciato ai nostri riguardi la stessa maledizione. Forse è stato
destinato a noi tutti di provare il primo impulso sessuale per nostra madre, il
primo odio e il primo desiderio di violenza per nostro padre; i nostri sogni ce ne convincono. Re Edipo,
che ha ucciso suo padre Laio e che ha sposato sua madre
Giocasta, è soltanto l'adempimento di un desiderio
della nostra infanzia. Ma a noi, più felici di lui, è stato possibile, a meno
che non siamo diventati psiconevrotici, di staccare i nostri impulsi sessuali
dalla nostra madre, e dimenticare la nostra invidia
per nostro padre. Davanti a quel personaggio che è stato costretto a realizzare
quel primordiale desiderio infantile, proviamo un orrore profondo, nutrito da
tutta la forza della rimozione che da allora in poi hanno subito i nostri
desideri. Il poeta, portando alla luce la colpa di Edipo, ci costringe a
conoscere il nostro proprio intimo, dove, anche se repressi, questi impulsi pur
tuttavia esistono. Il canto, con il quale il coro ci lascia:
..."Vedete, questo è Edipo, i cittadini
tutti decantavano e invidiavano la sua felicità; ha risolto l'alto enigma ed
era il primo in potenza, guardate in quali orribili flutti di sventura è precipitato!"
è un'ammonizione che colpisce noi stessi e il
nostro orgoglio, noi che a parer nostro siamo diventati cosi saggi e così potenti, dall'epoca dell'infanzia in poi. Come Edipo, viviamo inconsapevoli dei
desideri che offendono la morale, di quei desideri che ci sono stati imposti
dalla natura; quando ci vengono svelati, probabilmente noi tutti vorremmo
distogliere lo sguardo dalle scene dell'infanzia ».
Il concetto del complesso di Edipo, che Freud ha così efficacemente
espresso, divenne una delle pietre angolari del suo
sistema psicologico. Egli credeva che esso fosse la chiave per comprendere la
storia e l'evoluzione della religione e della morale e che costituisse il meccanismo
fondamentale dello sviluppo del bambino. Sosteneva inoltre che il complesso di
Edipo è la causa dello sviluppo psicopatologico e il « nocciolo della nevrosi ».
Freud si riferiva al mito di Edipo secondo la versione contenuta nell'Eco Re di Sofocle. La tragedia ci racconta che un oracolo aveva
predetto a Laio, Re di Tebe, e a sua moglie Giocasta,
che se essi avessero avuto un figlio, questi avrebbe ucciso il padre e sposato
la propria madre. Quando nacque Edipo, Giocasta decise di sfuggire alla
predizione dell'oracolo, uccidendo il neonato. Ella consegnò Edipo a un
pastore, perché lo abbandonasse nei boschi con i piedi legati e lo lasciasse
morire. Ma il pastore, mosso a pietà per il bambino, lo consegnò a un uomo che
era a servizio del Re di Corinto, il quale a sua
volta lo consegnò al padrone. Il Re adotta il bambino e il giovane principe
cresce a Corinto senza sapere di non essere il vero
figlio del Re di Corinto. Gli viene predetto dall'oracolo di Delfi che è suo destino uccidere il proprio padre e
sposare la propria madre e decide quindi di evitare questa sorte non ritornando
più dai suoi presunti genitori. Tornando a Delfi egli
ha una violenta lite con un vecchio che viaggia su un carro, perde il controllo
e uccide l'uomo e il suo servo senza sapere di aver ucciso suo padre, il Re di
Tebe.
Le sue peregrinazioni lo conducono a Tebe. In questa città la Sfinge
divora i giovinetti e le giovinette del luogo e non cesserà finché qualcuno non
avrà trovato la soluzione dell'enigma che essa propone. L'enigma dice: « Che
cos'è che dapprima cammina su quattro, poi su due e infine su tre? » La città
di Tebe ha promesso che chiunque lo risolva e liberi la città dalla Sfinge sarà
fatto Re e gli sarà data in sposa la vedova di Laio. Edipo tenta la sorte.
Trova la soluzione all'enigma cioè l'uomo
che da bambino cammina su quattro gambe, da adulto su due e da vecchio su tre
(col bastone). La Sfinge si getta in mare urlando, Tebe è salvata dalla
calamità, Edipo diviene Re e sposa Giocasta, sua madre.
Dopo che Edipo ha regnato felicemente per un certo tempo, la città viene
decimata dalla peste che uccide molti cittadini. L'indovino Tiresia rivela che l'epidemia è la punizione del
duplice delitto commesso da Edipo, parricidio e incesto. Edipo, dopo aver
disperatamente tentato di ignorare la verità, si
acceca quando è costretto a vederla e Giocasta si toglie la vita. La tragedia
termina nel punto in cui Edipo ha pagato il fio di un delitto che ha commesso a
sua insaputa, nonostante i suoi consapevoli sforzi per evitarlo.
È giustificata la conclusione di Freud secondo la quale questo mito
conferma la sua teoria che inconsci impulsi incestuosi e il conseguente odio
contro il padre-rivale sono riscontrabili in tutti i bambini di sesso maschile?
Invero sembra di sì, per cui il complesso di Edipo a buon diritto porta questo
nome. Tuttavia, se esaminiamo più da vicino questo mito, nascono questioni che
fanno sorgere dei dubbi sull'esattezza di tale teoria. La domanda più logica è
questa: se l'interpretazione freudiana fosse
giusta, il mito avrebbe dovuto narrare che Edipo incontrò Giocasta senza sapere
di essere suo figlio, si innamorò di lei e poi uccise suo padre, sempre
inconsapevolmente. Ma nel mito non vi è indizio alcuno che Edipo sia attratto o
si innamori di Giocasta. L'unica ragione che viene data del loro matrimonio è
che esso comporta la successione al trono. Dovremmo
forse credere che un mito, il cui tema è costituito da una relazione incestuosa
fra madre e figlio, ometterebbe completamente l'elemento di attrazione fra i
due? Questa obiezione diventa ancora più valida se si considera che la profezia
del matrimonio con la madre è ricordata una sola volta da Nicola di Damasco,
che secondo Cari Robert attinge a una fonte relativamente tarda.
Come possiamo concepire che Edipo, descritto come il coraggioso e saggio
eroe che diviene il benefattore di Tebe, abbia commesso un delitto considerato
orrendo agli occhi dei suoi contemporanei? A questa domanda si è talvolta
risposto, facendo notare che per i greci il concetto stesso di tragedia stava
nel fatto che il potente e forte venisse improvvisamente colpito da sciagura. Rimane
da vedere se una tale risposta sia sufficiente o se ne esista un'altra più
soddisfacente.
Questi problemi sorgono dall'analisi di Edipo Rè. Se consideriamo soltanto questa tragedia senza tenere
conto delle altre due parti della trilogia, Edipo
a Colono e Antigone,
non è possibile dare una risposta definitiva. Ma siamo almeno in grado di
formulare una ipotesi e cioè: che il mito
può essere inteso come simbolo non dell'amore incestuoso fra madre e figlio, ma
della ribellione del figlio contro l'autorità del padre nella famiglia
patriarcale; che il matrimonio fra Edipo e Giocasta è soltanto un elemento
secondario, soltanto uno dei simboli della vittoria del figlio che prende il
posto di suo padre e con questo tutti i suoi privilegi.
La validità di questa ipotesi può essere verificata coll'esame del mito
di Edipo nel suo complesso, specialmente nella versione di Sofocle contenuta
nelle altre due parti della sua trilogia, Edipo
a Colono e Antigone.
[da E. fromm, II linguaggio dimenticato, trad. it. di G. Brianzoni, Bompiani, Milano, 1962, pp.
188-193]