Il fatto che
la religione, la coscienza di Dio, venga definita l'autocoscienza dell'uomo non
vuol dire affatto che l'uomo religioso sia consapevole, direttamente, che la sua
coscienza di Dio è l'autocoscienza della propria essenza: perché è proprio
l'assenza di questa coscienza che costituisce la differenza specifica della
religione. E per eliminare questa possibilità di equivoco è meglio dire: la
religione è la prima - e indiretta conoscenza che l'uomo abbia di se stesso. La
religione precede quindi dovunque la filosofia, sia nella storia dell'umanità
sia nella storia del singolo individuo. L'uomo, prima ancora di trovare la sua
essenza in sé, la traspone fuori di sé. In un primo tempo la sua propria essenza
gli è oggetto come se fosse l'essenza di un altro. Nelle religioni il progresso
storico consiste quindi in questo, che ciò che per la religione precedente era
considerato qualche cosa di oggettivo è adesso qualche cosa di soggettivo; in
altri termini, ciò che era contemplato e pregato come Dio viene ora conosciuto
come qualche cosa di umano. Per i posteri la religione precedente è idolatria:
l'uomo ha pregato la propria essenza. L'uomo si è oggettivato, ma non si è reso
conto che l'oggetto era la sua essenza; la religione successiva fa questo passo.
Ogni progresso nella religione è quindi una più approfondita conoscenza di sé.
Ma ogni religione determinata, che qualifica di idolatriche le sue sorelle più
anziane, eccettua se stessa da quella che è la sorte, la generale natura della
religione - e questo atteggiamento è necessario, se no essa non sarebbe più
religione -; essa riversa sulle altre religioni ciò che è la colpa - ammesso che
si possa parlare di colpa - della religione in generale. Dato che ha un altro
oggetto e un altro contenuto, dato che si è innalzata su un piano superiore al
contenuto della religione precedente, essa si illude di essersi sottratta alle
leggi necessarie ed eterne che costituiscono l'essenza della religione: si
illude che il suo oggetto, che il suo contenuto sia sovrumano. Ma, in cambio, a
penetrare in quella essenza della religione che a lei stessa è nascosta è il
pensatore; per lui la religione è oggetto, come essa non può essere a se stessa.
E il nostro compito sarà appunto di dimostrare che l'opposizione di divino e di
umano è del tutto illusoria, e che, per conseguenza, anche l'oggetto e il
contenuto della religione cristiana è interamente umano. La religione, quella
cristiana almeno, è l'atteggiamento che l'uomo ha nei confronti di se stesso, o,
più esattamente, nei confronti della propria essenza (soggettiva);
atteggiamento, però, che tratta la sua essenza come se fosse diversa da lui.
L'essenza divina non è altro che l'essenza umana, o, più esattamente, l'essenza
dell'uomo purificata e liberata dai termini dell'uomo individuale, oggettivata,
cioè mirata e venerata come se fosse un'altra essenza, una essenza diversa da
lui, con propri caratteri - tutte le determinazioni dell'essenza divina sono
quindi determinazioni umane. Ciò che ho detto potrà anche esser concesso senza
difficoltà per quanto riguarda le determinazioni, i predicati dell'essenza
divina; ma non lo sarà mai per quanto riguarda il soggetto di questi predicati.
Irreligiosità, anzi, ateismo è considerata la negazione del soggetto, ma non la
negazione dei predicati. Ma ciò che non ha determinazioni non si farà sentire in
alcun modo su di me; e ciò che non si fa sentire non avrà un esistere per me.
Negare tutte le determinazioni equivale a negare la stessa essenza. Una essenza
priva di determinazione è una essenza non oggettiva, e una essenza non oggettiva
è inesistente. Quando l'uomo toglie a Dio tutte le determinazioni, ecco che per
lui Dio è ancora soltanto un'essenza negativa. Per l'uomo autenticamente
religioso Iddio non è un ente privo di determinazione, dato che esso, per lui, è
un ente certo e reale. L'assenza di determinazione, e la inconoscibilità di Dio,
che le è identica, è quindi soltanto un frutto dell'età moderna, un prodotto
della incredulità moderna.
(L. Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, 194-196)