A. Che cosa hai da dire contro il razionalismo critico?
B. Il razionalismo critico?
A. Sì, il razionalismo critico, la filosofia di Popper.
B. Non sapevo che Popper avesse una filosofia.
A. Non stai parlando seriamente. Sei stato suo scolaro...
B. Ho ascoltato qualche sua lezione...
A. E sei diventato suo allievo...
B. So che così dicono i popperiani...
A. Hai tradotto La società aperta di Popper...
B. Avevo bisogno di soldi...
A. Hai citato Popper nelle note, e molto spesso...
B. Perché lui e i suoi allievi mi chiesero di farlo e io ho un animo gentile. Non immaginavo certamente che un bel giorno questi gesti amichevoli avrebbero dato luogo a serie dissertazioni su presunte «influenze».
A. Ma tu eri un «popperiano» - tutte le tue argomentazioni erano di stile popperiano.
B. È qui che ti sbagli. È senz'altro vero che i miei primi scritti riflettono le discussioni tra Popper e me, ma lo stesso vale per le mie discussioni con la Anscombe, Wittgenstein, Hollitscher, Bohr e persino le mie letture di dadaisti, espressionisti e autorità naziste hanno lasciato tracce qua e là. Vedi, quando per caso trovo delle idee insolite, le metto alla prova. E il mio modo di metterle alla prova è di estremizzarle. Non c'è una sola idea, per quanto assurda e ripugnante, che non abbia un aspetto sensato e non c'è una sola idea, per quanto plausibile e umanitaria, che non incoraggi, e quindi dissimuli, la nostra stupidità e le nostre tendenze criminali. C'è molto Wittgenstein in tutti i miei saggi - ma i wittgensteiniani non cercano un gran numero di seguaci, non ne hanno bisogno, così non mi reclamano come uno di loro. Inoltre capiscono che mentre considero Wittgenstein uno dei più grandi filosofi del XX secolo...
A. Più grande di Popper?
B. Popper non è un filosofo, è un pedante - questo è il motivo per cui i tedeschi lo amano tanto. Comunque, i wittgensteiniani si rendono conto che la mia ammirazione per Wittgenstein non ha ancora fatto di me un wittgensteiniano. Ma questo discorso esula dal punto in questione...
[...]
A. Non puoi addossare a Cristo la colpa dell'inquisizione!
B. Sì che posso! Ogni maestro che voglia introdurre nuove idee o una nuova forma di vita deve essere consapevole di due cose. In primo luogo che si abuserà delle sue idee, a meno che non sia stato predisposto qualche meccanismo di protezione. Le idee di Voltaire disponevano di questa protezione, le idee di Nietzsche no. Nietzsche fu usato dai nazisti, Voltaire no. In secondo luogo, deve rendersi conto che un «messaggio», mentre può essere d'aiuto in alcune circostanze, può essere mortale in altre...
A. E che ne dici del messaggio secondo cui dovrem- mo cercare la verità?
B. Ci fa dimenticare che una vita senza mistero è arida e che, certe cose, per esempio i nostri amici, andrebbero più amati che capiti fino in fondo.
A. Ma ci sarà sempre qualcosa che non si conosce...
B. Sto pensando a quel genere di cose che si dovrebbe lasciar perdere, anche se la ricerca della verità sembra promettere buoni risultati...
A. Questo è puro oscurantismo...
B. Sì, io sono favorevole all'oscurantismo più di quanto oggi non si osi ammettere.
[...]
B. Be' dalla tua descrizione si potrebbe supporre che i razionalisti critici sono spiriti liberi, che scrivono con spirito veemente e vivace, che hanno considerato i limiti della razionalità, che si oppongono al tentativo della scienza di dominare la società, che hanno trovato nuovi modi di presentare le loro tesi, che fanno grande uso dei media, di film, opere teatrali e dialoghi, in aggiunta alla saggistica, che hanno scoperto le valenze emotive del discorso e molte altre cose simili. Si potrebbe supporre che fanno parte di un movimento interessante, che aiuta la gente ad esaudire il proprio desiderio di libertà e indipendenza, mettendone in evidenza il meglio. Invece quello che vedo io è di tutt'altro genere: un tetro branco di intellettuali, i quali scrivono in modo stentato, ripetendo ad nauseam poche frasi fondamentali, interessati principalmente allo sviluppo di epicicli intorno a mostri intellettualistici, come la verosimiglianza e l'aumento di contenuto.
(Paul K. Feyerabend, Dialogo sul metodo)