Il fine ultimo è l’unità di tutti gli uomini
Quindi il fine supremo ed ultimo della società è la completa unità e l’intimo consentimento di tutti i suoi membri. Ma dato che il raggiungimento di questo fine presuppone che sia assolta la missione dell’uomo in generale, cioè che sia raggiunta l’assoluta perfezione, esso è pertanto irrealizzabile come l’altro; irrealizzabile finché l’uomo non cesserà di essere uomo e non diverrà Dio. La completa unità con tutti gli individui è dunque effettivamnte il fine ultimo dell’uomo, ma non costituisce la missione dell’uomo nella società.
La nostra missione è quindi di avvicinarci a questa meta, con la unificazione progressiva della società.
Ma avvicinarsi a questa meta, avvicinarsi ad essa all’infinito - questo è ciò che l’uomo può e deve. A questo avvicinarsi alla completa unità e consentimento interiore di tutti gli individui possiamo dare il nome di unificazione. L’unificazione dunque, un’unificazione che divenga sempre più salda nell’intimo sentire, sempre più vasta quanto all’estensione, è la vera missione dell’uomo nella società: questa unificazione però è resa possibile solo dal perfezionamento all’infinito, giacché gli uomini non sono e non possono essere concordi che per quanto riguarda la loro missione ultima. Possiamo dire quindi in modo equivalente: il perfezionamento attraverso la vita in comune, il perfezionamento di noi stessi dovuto all’influenza liberamente accettata degli altri su di noi, e il perfezionamento degli altri mediante la nostra corrispondente influenza su di essi, quale si deve esercitare su esseri liberi, questa è la nostra missione nella società.
Definita così la missione dell’uomo nella società, resta da determinare il mezzo per assolvere il nostro compito: ciò che ci rende atti al raggiungimento di questo fine è la cultura.
Per giungere al compimento di questa nostra missione, per giungervi sempre meglio, abbiamo bisogno di una capacità che possiamo acquistare ed accrescere solo mediante la cultura, e precisamente una capacità di due specie: attitudine a dare, ossia ad agire sugli altri come si può agire su esseri liberi, e capacità di ricevere, ossia di trarre il miglior profitto possibile dall’azione degli altri su di noi.[…] E dobbiamo specialmente cercare di conservarci quest’ultima, anche se già si possiede la prima in alto grado; altrimenti ci si arresta nel progresso e perciò stesso si torna indietro. Raramente un individuo è così perfetto da non poter essere ulteriormente perfezionato da qualsiasi altro uomo, per qualche parte che forse gli era sembrata poco importante o che gli era sfuggita.
Poche idee più sublimi io conosco, o Signori, dell’idea di questa influenza esercitata dall’intera umanità su se stessa attraverso l’opera di tutti i suoi membri, di questo scorrere incessante di vita, e di questo tendere verso l’alto, di questa gara ardente per dare e per ricevere quanto di più nobile è dato in sorte all’uomo, di questo universale ingranarsi l’una nell’altra di innumerevoli ruote che hanno come motore comune la libertà, e insomma della bella armonia che da tutto questo risulta.
- Chiunque tu sia - così può dire ognuno - se porti sembianze umane, sei tu pure un membro di questa grande comunità; e, per quanto innumerevoli siano i tramiti per cui si va trasmettendo la mia azione, io agisco tuttavia, per ciò stesso, sopra di te e tu sopra di me; nessuno, purché porti nel volto l’impronta della ragione, e sia pure in un’espressione rozza e primitiva, esiste in vano per me. - Ma io non ti conosco né tu conosci me. - Oh, quanto è certo che noi abbiamo comune la missione di essere buoni e di diventar sempre migliori, tanto è certo, occorrano pure milioni e bilioni di anni (che è mai il tempo?), tanto è certo che alla fine un momento verrà in cui io trascinerò anche te nella cerchia della mia attività, in cui potrò beneficare anche te e ricevere da te benefizi, in cui il mio cuore sarà legato anche al tuo col più bello dei vincoli, quello del libero e reciproco scambio di bene! -
(J.G. Fichte, La missione del dotto)