Lo scopo
dell’ermeneutica non consiste nell’arrivare a cogliere la dimensione storica e
psicologica del messaggio, ma di arrivare alla verità stessa attraverso la
consapevolezza che la ricerca si pone in una circolarità fra due momenti
storici lontani e distinti, quello del messaggio e quello dell’interprete, con
due diverse tradizioni alle spalle.
H. G. Gadamer, Il problema della coscienza
storica
Ho appena
detto che ogni comprensione può essere caratterizzata come un insieme di
rapporti circolari tra il tutto e le sue parti. La caratterizzazione attraverso
il rapporto circolare deve essere tuttavia completata da una determinazione
supplementare; io l’esprimerei volentieri chiamandola anticipazione di una
“coerenza perfetta”. Questa coerenza perfetta può essere intesa innanzi tutto
nel senso di un’anticipazione di natura formale: essa è una “idea”. Essa è
tuttavia sempre attualmente in opera, allorquando si tratta di effettuare una
comprensione. Essa significa che nulla è veramente comprensibile se non si
presenta effettivamente sotto la forma di un significato coerente. Cosí, per
esempio, l'intenzione della lettura di un testo implica sin dall’inizio che noi
consideriamo il testo come “coerente”, fintanto che, almeno, questo presupposto
non si riveli insufficiente o, in altri termini, fintanto che il messaggio del
testo non si denunzi come incomprensibile. È questo l’istante preciso in cui
appare il dubbio e in cui mettiamo in movimento la nostra attrezzatura critica.
Non è necessario precisare qui le regole di questo esame critico, poiché in
ogni caso la loro giustificazione non potrebbe essere mai separata dalla
concreta comprensione del testo. La guida della nostra comprensione:
l’anticipazione della coerenza perfetta si dimostra, cosí, provvista fin
dall’inizio di un contenuto non soltanto formale. Infatti, nell’operazione
concreta della comprensione non è presupposta unicamente un’unità di senso immanente:
ogni comprensione di un testo presuppone ch’essa sia guidata da alcune attese trascendenti,
l'origine delle quali dev’essere cercata nel rapporto tra l’intenzione del
testo e la verità.
Quando riceviamo una lettera, vediamo le cose comunicateci, attraverso gli occhi del nostro corrispondente; ma pur vedendo le cose attraverso i suoi occhi, crediamo di dover conoscere, mediante la lettera, non la sua opinione personale, ma l’avvenimento stesso. Mirare, leggendo una lettera, ai pensieri del nostro corrispondente e non a ciò ch’egli pensa, contraddice il senso stesso di ciò che è una lettera. Parimenti, le anticipazioni implicate dalla nostra comprensione di un documento trasmesso dalla storia, emanano dai nostri rapporti con le “cose” e non dalla maniera in cui queste “cose” ci sono trasmesse. Proprio come crediamo alle notizie d’una lettera, poiché supponiamo che il nostro corrispondente abbia assistito di persona all’avvenimento, o ne sia stato validamente messo al corrente, cosí siamo aperti alla possibilità che il testo trasmesso sia piú autentico, per ciò che riguarda la “cosa stessa”, delle nostre proprie ipotesi. Solo la disillusione di aver lasciato parlare il testo da se stesso e di essere cosí giunti a un cattivo risultato, potrebbe spingerci a tentare di “comprenderlo” ricorrendo a un punto di vista psicologico o storico supplementare.
L’anticipazione della coerenza perfetta presuppone, dunque, non soltanto che il testo sia l’espressione adeguata di un pensiero, ma anche che esso ci trasmetta la verità stessa. Ciò conferma che il significato originale dell’idea di comprensione è quello di “essere abile in qualche cosa” (“s’y connaître en quelque chose”), e che solo in un senso derivato essa significa comprendere l’intenzione dell’altro in quanto opinione personale. Si ritorna cosí alla condizione originale di ogni ermeneutica: essa deve essere un riferimento comune e comprensivo alle “cose stesse”. È questa condizione a determinare la possibilità di mirare a un significato unitario, e, dunque, anche la possibilità che l’anticipazione della coerenza perfetta sia effettivamente applicabile.
Col porre bene in valore il ruolo svolto nei nostri procedimenti intellettivi da certe anticipazioni assolutamente fondamentali, cioè comuni a noi tutti, noi ci mettiamo ora in condizione di determinare piú esattamente il senso del fenomeno di “affinità”, cioè il fattore tradizione nel comportamento storico-ermeneutico. L’ermeneutica deve muovere dal fatto che comprendere significa essere in rapporto, contemporaneamente, con la “cosa stessa”, che si manifesta attraverso la tradizione, e con una tradizione, a partire dalla quale la “cosa” possa parlarmi. D’altro canto, colui il quale realizza una comprensione ermeneutica, deve rendersi conto che il nostro rapporto con le “cose” non è un rapporto che “vada da sé”, senza porre problemi. Noi fondiamo il compito ermeneutico precisamente sulla tensione esistente tra la “familiarità” e il carattere “straniero” del messaggio trasmessoci dalla tradizione. Ma la tensione di cui parliamo, non è, come in Schleiermacher, una tensione psicologica. Essa è, invece, il senso e la struttura della storicità ermeneutica. Non uno stato psichico, ma la “cosa stessa”, consegnata dalla tradizione, costituisce l’oggetto dell’interrogazione ermeneutica. In rapporto al carattere “familiare” e “straniero”, insieme, dei messaggi storici, l'ermeneutica richiede, in qualche modo, una “situazione centrale”. L’interprete è dimidiato fra la sua appartenenza a una tradizione e la sua distanza rispetto agli oggetti che sono il tema delle sue ricerche.
H.-G. Gadamer, Il problema della coscienza
storica, Guida, Napoli, 1969, pagg. 86-88