Gadamer, Il compito dell’ermeneutica

La regola ermeneutica secondo cui bisogna comprendere la totalità sulla base del particolare e viceversa, ha origine nella retorica antica, e l’ermeneutica moderna l’ha trasposta dall’arte del discorso a quella del comprendere. In entrambi i casi è presente un rapporto circolare. L’anticipazione di senso con cui si riferisce alla totalità diviene comprensione esplicita grazie al fatto che le parti definite dalla totalità definiscono a loro volta questa totalità (...)

         L’accordo di tutti i particolari nella totalità è il criterio che vale, di volta in volta, per determinare l’esattezza della comprensione, e l’assenza di questo accordo equivale al fallimento della comprensione.

         Schleiermacher ha distinto nel circolo ermeneutico di parte e totalità un aspetto oggettivo e un aspetto soggettivo. Per un verso, la singola parola appartiene al contesto della frase, così come il singolo testo al contesto dell’opera di uno scrittore e quest’ultima al relativo genere letterario nel suo insieme, e infine alla letteratura. Per un altro verso, quel medesimo testo, come manifestazione di un momento creativo, appartiene alla totalità della vita spirituale del suo autore. La comprensione si può di volta in volta realizzare solo in una simile totalità di carattere oggettivo e soggettivo. Ricollegandosi a questa teoria Dilthey parla di “struttura” e di un “convergere su un punto medio” da cui emerge la comprensione della totalità. Egli trasferisce così al mondo storico ciò che da sempre sta alla base di ogni interpretazione: che bisogna comprendere un testo esclusivamente sulla base del testo stesso.

         Vien però fatto di domandare se in questo modo venga adeguatamente inteso il movimento circolare del comprendere. Si può benissimo escludere ciò che Schleiermacher ha sviluppato come interpretazione soggettiva. Quando cerchiamo di comprendere un testo non ci trasponiamo nella psicologia dell’autore, ma - se proprio vogliamo parlare di immedesimazione - c’immedesimiamo nelle sue opinioni. Ma questo significa semplicemente che cerchiamo di accreditare la legittimità oggettiva di ciò che l’altro dice. Cercheremo persino, se vogliamo capire, di rafforzare ulteriormente i suoi argomenti. Così che già nel colloquio e ancor più nella comprensione dello scritto, ci muoviamo in una dimensione di senso comprensibile di per sé, e che come tale non richiede alcun ricorso alla soggettività dell’altro. Compito dell’ermeneutica è chiarire questo miracolo della comprensione, che non è una segreta comunicazione fra le anime, bensì un partecipare al senso condiviso.

 

(H.    G. Gadamer, “Sul circolo ermeneutico”, in Aut-aut, n. 217-218, 1987, pp. 13-14)