Secondo gli avversari di Galilei
la teoria copernicana deve essere condannata perché contrasta con la Sacra Scrittura, per la quale
il Sole si muove e la Terra rimane ferma; secondo Galilei bisogna prima di
tutto saper interpretare il Sacro Testo. Inoltre egli riprende l’osservazione
del cardinale Baronio, secondo il quale l’intento dello Spirito Santo
nell’ispirare la Bibbia , è “d’insegnarci come si vadia in cielo e non
come vadia il cielo”.
G. Galilei, A Madama Cristina
di Lorena Granduchessa di Toscana, anno 1615
E di questo genere si scorge
esser questi che s’ingegnano di persuadere che tale autore si danni, senza pur
vederlo e per persuadere che ciò non solamente sia lecito, ma ben fatto, vanno
producendo alcune autorità della Scrittura e de’ sacri teologi e de’ Concilii;
le quali sí come da me son reverite e tenute di suprema autorità, sí che somma
temerità stimerei esser quella di chi volesse contradirgli mentre vengono
conforme all’instituto di Santa Chiesa adoperate, cosí credo che non sia errore
il parlar mentre si può dubitare che alcuno voglia, per qualche suo interesse,
produrle e servirsene diversamente da quello che è nella santissima intenzione
di Santa Chiesa; però, protestandomi (e anco credo che la sincerità mia si farà
per se stessa manifesta) che io intendo non solamente di sottopormi a rimuover
liberamente quegli errori ne’ quali per mia ignoranza potessi in questa
scrittura incorrere in materie attinenti a religione, ma mi dichiaro ancora non
voler nell’istesse materie ingaggiar lite con nissuno, ancor che fussero punti
disputabili: perché il mio fine non tende ad altro, se non che, se in queste
considerazioni, remote dalla mia professione propria, tra gli errori che ci
potessero essere dentro, ci è qualche cosa atta ad eccitar altri a qualche
avvertimento utile per Santa Chiesa, circa 'l determinar sopra 'l sistema
Copernicano, ella sia presa e fattone quel capitale che parrà a’ superiori; se
no, sia pure stracciata ed abbruciata la mia scrittura, ch’io non intendo o
pretendo di guadagnarne frutto alcuno che non fusse pio e cattolico. E di piú,
ben che molte delle cose che io noto le abbia sentite con i proprii orecchi,
liberamente ammetto e concedo a chi l’ha dette che dette non l’abbia, se cosí
gli piace, confessando poter essere ch’io abbia franteso; e però quanto
rispondo non sia detto per loro, ma per chi avesse quella opinione.
Il motivo, dunque, che loro
producono per condennar l’opinione della mobilità della Terra e stabilità del
Sole, è, che leggendosi nelle Sacre Lettere, in molti luoghi, che il Sole si
muove e che la Terra sta ferma, né potendo la Scrittura mai mentire o errare,
né séguita per necessaria conseguenza che erronea e dannanda sia la sentenza di
chi volesse asserire, il Sole esser per se stesso immobile, e mobile la Terra.
Sopra questa ragione parmi
primieramente da considerare, essere e santissimamente detto e
prudentissimamente stabilito, non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta
volta che si sia penetrato il suo vero sentimento; il qual non credo che si
possa negare esser molte volte recondito e molto diverso da quello che suona il
puro significato delle parole. Dal che ne séguita, che qualunque volta alcuno,
nell’esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale, potrebbe,
errando esso, far apparir nelle Scritture non solo contradizioni e proposizioni
remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sarebbe necessario
dare a Iddio e piedi e mani ed occhi, e non meno affetti corporali ed umani, come
l’ira, di pentimento, d’odio, ed anco tal volta la dimenticanza delle cose
passate e l’ignoranza delle future; le quali proposizioni, sí come, dettante lo
Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per
accomodarsi alla capacità del vulgo assai rozo e indisciplinato, cosí per
quelli che meritano d’esser separati dalla plebe è necessario che i saggi
espositori ne produchino i veri sensi, e n’additino le ragioni particolari per
che e’ siano sotto cotali parole profferiti: ed è questa dottrina cosí trita e
specificata appresso tutti i teologi, che superfluo sarebbe il produrne
attestazione alcuna.
Di qui mi par di poter assai
ragionevolmente dedurre, che la medesima Sacra Scrittura, qualunque volta gli è
occorso di pronunziare alcuna conclusione naturale, e massime delle piú
recondite e difficili ad esser capite, ella non abbia pretermesso questo
medesimo avviso, per non aggiungere confusione nelle menti di quel medesimo
popolo e renderlo piú contumace contro ai dogmi di piú alto misterio. Perché
se, come si è detto e chiaramente si scorge, per il solo rispetto d’accomodarsi
alla capacità popolare non si è la Scrittura astenuta di adombrare
principalissimi pronunziati, attribuendo sino all’istesso Iddio condizioni
lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà asseverantemente sostenere
che l’istessa scrittura, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco
incidentemente di Terra, d’acqua, di Sole o d’altra creatura, abbia eletto di
contenersi con tutto rigore dentro a i puri e ristretti significati delle
parole? e massime nel pronunziar di esse creature cose non punto concernenti al
primario instituto delle medesime Sacre Lettere, ciò è al culto divino ed alla
salute dell’anime, e cose grandemente remote dalla apprensione del vulgo.
Stante, dunque, ciò, mi par che
nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di
luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni
necessarie: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la
natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come
osservantissima essecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di piú, convenuto
nelle Scritture, per accommodarsi all’intendimento dell’universale, dir molte
cose diverse, in aspetto e quanto al nudo significato delle parole, dal vero
assoluto; ma, all’incontro, essendo la natura inesorabile ed immutabile, e mai
non trascendente i termini delle leggi impostegli, come quella che nulla cura
che le sue recondite ragioni e modi d’operare sieno o non sieno esposti alla
capacità degli uomini; pare che quello degli effetti naturali che o la sensata
esperienza ci pone dinanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci
concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che
condennato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle parole diverso
sembiante; poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi cosí
severi com’ogni effetto di natura, né meno eccellentemente ci si scuopre Iddio
negli effetti di natura che ne’ sacri detti delle Scritture: il che volse per
avventura intender Tertulliano in quelle parole: Nos definimus, Deum primo
natura cognoscendum, deinde doctrina recognoscendum: natura, ex operibus;
doctrina, ex praedicationibus.” [Trad.: Noi diciamo che Dio si deve prima
conoscere dalla natura, quindi conoscere dalla dottrina; nella natura per le
opere, nella dottrina per le predicazioni].
Ma non per questo voglio
inferire, non doversi aver somma considerazione de i luoghi delle Scritture
Sacre; anzi, venuti in certezza di alcune conclusioni naturali, doviamo
servircene per mezi accomodatissimi alla vera esposizione di esse Scritture ed
all’investigazione di quei sensi che in loro necessariamente si contengono,
come verissime e concordi con le verità dimostrate. Stimerei per questo che
l’autorità delle Sacre Lettere avesse avuto la mira a persuadere principalmente
a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, superando ogni umano
discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezo farcisi credibili,
che per la bocca dell’istesso Spirito Santo: di piú, che ancora in quelle
proposizioni che non son de Fide l’autorità delle medesime Sacre Lettere
deva esser anteposta all’autorità di tutte le scritture umane, scritte non con
metodo dimostrativo, ma o con pura narrazione o anco con probabili ragioni,
direi doversi reputar tanto convenevole e necessario, quanto l’istessa divina
sapienza supera ogni umano giudizio e coniettura. Ma che quell’istesso Dio che
ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo
l’uso di questi, darci con altro mezo le notizie che per quelli possiamo
conseguire, sí che anco in quelle conclusioni naturali, che o dalle sensate
esperienze o dalle necessarie dimostrazioni ci vengono esposte innanzi a gli occhi
e all’intelletto, doviamo negare il senso e la ragione, non credo che sia
necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima
particella solamente, ed anco in conclusioni divise, se ne legge nella
Scrittura; quale appunto è l’astronomia, di cui ve n’è cosí piccola parte, che
non vi si trovano né pur nominati i pianeti, eccetto il Sole e la Luna, ed una
o due volte solamente, Venere, sotto nome di Lucifero. Però se gli scrittori
sacri avessero avuto pensiero di persuadere al popolo le disposizioni e
movimenti de’ corpi celesti, e che in conseguenza dovessimo noi ancora dalle
Sacre Scritture apprender tal notizia, non ne avrebbon, per mio credere,
trattato cosí poco, che è come niente in comparazione delle infinite
conclusioni ammirande che in tale scienza si contengono e si dimostrano. Anzi,
che non solamente gli autori delle Sacre Lettere non abbino preteso
d’insegnarci le costituzioni e movimenti de’ cieli e delle stelle, e loro
figure, grandezze e distanze, ma che a bello studio, ben che tutte queste cose
fussero a loro notissime, se ne sieno astenuti, è opinione di santissimi e
dottissimi Padri: ed in sant’Agostino si leggono le seguenti parole: Quaeri
etiam solet, quae forma et figura caeli esse credenda sit secundum Scripturas nostras:
multi enim multum disputant de iis rebus, quas maiore prudentia nostri authores
omiserunt, ad beatam vitam non profuturas discentibus, et occupantes (quod
peius est) multum prolixa et rebus salubribus impendenda temporum spatia. Quid
enim ad me pertinet, utrum caelum, sicut sphera, undique concludat Terram, in
media mundi mole libratam, an eam ex una parte desuper, velut discus, operiat?
Sed quia de fide agitur Scripturarum, propter illam causam quam non semel
commemoravi, ne scilicet quisquam, eloquia divina non intelligens, cum de his
rebus tale aliquid vel invenerit in libris nostris vel ex illis audierit quod
perceptis monentibus vel narrantibus vel pronunciantibus credat; breviter
dicendum est, de figura caeli hoc scisse authores nostros quod veritas habet,
sed Spiritum Dei, qui per ipsos loquebatur, noluisse ista docere homines, nulli
saluti profutura.” [Trad.: Si è anche soliti chiedere qual forma e figura si
devono credere essere del cielo secondo le nostre Scritture: molti infatti
assai disputano su queste cose, che con maggiore prudenza i nostri autori
tralasciarono, le quali non giovano ai discepoli per la vita celeste e (quel
che è peggio) occupano lunghi spazi di tempo, che dovrebbero essere spesi in
cose salutari. Infatti che m’importa se il cielo come sfera circondi da ogni
parte la terra librata in mezzo alla mole del mondo o la copra da una parte
dall’alto come un disco? Ma poiché si tratta della fede delle Scritture, per
quel motivo che non una volta sola ricordai, cioè affinché qualcuno, non
comprendendo le parole divine, quando intorno a questi argomenti trovi nei
nostri autori o intenda da essi cosa che sembri avversare le opinioni ricevute,
non creda in alcun modo a coloro che ammoniscono o affermano altre cose utili,
brevemente bisogna dire che intorno alla figura del cielo i nostri autori
seppero quel che la verità possiede, ma lo spirito di Dio che per loro mezzo
parlava, non volle insegnare agli uomini queste cose che nulla avrebbero
giovato alla loro salvezza].
E pur l’istesso disprezzo avuto
da’ medesimi scrittori sacri nel determinar quello che si deva credere di tali
accidenti de’ corpi celesti ci vien nel seguente cap. 10 replicato dal medesimo
sant’Agostino, nella quistione, se si deva stimare che 'l cielo si muova o pure
stia fermo, scrivendo cosí: “De motu etiam caeli nonnulli fratres quaestionem
movent, utrum stet an moveatur: quia si movetur, inquiunt, quomodo firmamentum
est? si autem stat, quomodo sydera, quae in ipso fixa creduntur, ab oriente
usque ad occidentem circumeunt, septentrionalibus breviores gyros iuxta
cardinem peragentibus, ut caelum, si est alius nobis occultus cardo ex alio
vertice, sicut sphera, si autem nullus alius cardo est, veluti discus, rotari
videatur? Quibus respondeo, multum subtilibus et laboriosis rationibus ista
perquiri, ut vere percipiatur utrum ita an non ita sit; quibus ineundis atque
tractandis nec mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam
et Sanctae Ecclesiae necessarium utilitatem cupimus informari.” [Trad.: Anche attorno
al moto del cielo alcuni fratelli domandano
se il cielo è fermo o si muove, perché se si muove, dicono, in che modo
c’è il firmamento? Se invece sta fermo, come mai le stelle che si credono fisse
in esse vanno da oriente ad occidente, le settentrionali compiendo giri piú
brevi vicino al cardine, cosí che il cielo sembra ruotare come sfera intorno ad
un altro cardine nascosto, se v’è un cardine nascosto; come un disco, se invece
non v’è altro cardine? A costoro rispondo che con argomenti molto sottili e
laboriosi si sono esaminate queste cose affinché veracemente si percepisca se
sia o non sia cosí; a conoscere e trattare i quali io non ho tempo e non devono
averne quelli che desideriamo siano informati per la salute loro e la
necessaria utilità della Santa Chiesa].
Dalle quali cose descendendo piú
al nostro particolare, né séguita per necessaria conseguenza, che non avendo
voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o stia fermo, né se la
sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in piano, né se la Terra
sia contenuta nel centro di esso o da una banda, non avrà manco avuta
intenzione di renderci certi di altre conclusioni dell’istesso genere, e
collegate in maniera con le pur ora nominate, che senza la determinazion di
esse non se ne può asserire questa o quella parte; quali sono il determinar del
moto e della quiete di essa Terra e del Sole.
E se l’istesso Spirito Santo a
bello studio ha pretermesso d’insegnarci simili proposizioni, come nulla
attenenti alla sua intenzione, ciò è alla nostra salute, come si potrà adesso
affermare, che il tener di esse questa parte, e non quella, sia tanto
necessario che l’una sia de Fide, e l’altra erronea? Potrà, dunque,
essere un’opinione eretica, e nulla concernente alla salute dell’anime? o potrà
dirsi, aver lo Spirito Santo voluto non insegnarci cosa concernente alla
salute? Io qui direi quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in
eminentissimo grado, ciò è l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci
come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo.
Ma torniamo a considerare, quanto
nelle conclusioni naturali si devono stimar le dimostrazioni necessarie e le
sensate esperienze, e di quanta autorità le abbino reputate i dotti e i santi
teologi...
Stante questo, ed essendo, come
si è detto, che due verità non possono contrariarsi, è officio de’ saggi
espositori affaticarsi per penetrare i veri sensi de’ luoghi sacri, che
indubitabilmente saranno concordanti con quelle conclusioni naturali, delle
quali il senso manifesto o le dimostrazioni necessarie ci avessero prima resi
certi e sicuri. Anzi, essendo, come si è detto, che le Scritture per l’addotte
cagioni ammettono in molti luoghi esposizioni lontane dal significato delle
parole, e, di piú, non potendo noi con certezza asserire che tutti gl’interpeti
parlino inspirati divinamente, poi che, se cosí fusse, niuna diversità sarebbe
tra di loro circa i sensi de’ medesimi luoghi, crederei che fusse molto
prudentemente fatto se non si permettesse ad alcuno impegnare i luoghi della
Scrittura ed in certo modo obligarli a dover sostenere per vere queste o quelle
conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative
e necessarie ci potessero manifestare il contrario. E chi vuol por termine alli
umani ingegni? chi vorrà asserire, già essersi veduto e saputo tutto quello che
è al mondo di sensibile e di scibile?
(G. Galilei, Lettere,
Einaudi, Torino 1978, pagg. 128-135)