Secondo Galilei l'atteggiamento
di Copernico era quello di comprendere come stanno veramente le cose. E siccome
la teoria tolemaica, nel suo insieme, non corrispondeva all'idea di un Universo
ordinato e armonioso, ma ad “una mostruosissima chimera”, cosí Copernico si
mise a riflettere sulla vera costituzione del Cielo e della Terra. Galilei si
prende cura di sottolineare che la tesi copernicana fu resa pubblica in accordo
con la volontà di Tiedemann Giese, vescovo di Kulm e di Nicolas Schoenberg,
cardinale di Capua; inoltre il De rivolutionibus fu dedicato al papa Paolo III Farnese.
G. Galilei, Considerazioni
circa l'opinione copernicana, 1615
Quelli che
persistono in voler affermare che il Copernico abbia solamente come astronomo
presa ex hypothesi la mobilità della Terra e stabilità del Sole, in
quanto ella meglio satisfaccia al salvare delle apparenze celesti ed al calculo
de' movimenti de i pianeti, ma non già che per vera ei la credesse realmente in
natura, mostrano (e sia detto con pace loro) d'aver troppo creduto alla
relazione di chi forse parla piú per proprio arbitrio, che per pratica che egli
abbia nel libro del Copernico o nell'intender la natura di questo negozio;
circa il quale per tale cagione non del tutto aggiustatamente discorrono.
E prima
(stando pur solamente sopra le conietture generali), veggasi la prefazione di
quello a Paulo terzo, Sommo Pontefice, al quale egli dedica l'opera; e
troverassi, prima, come per satisfare alla parte che questi dicono
dell'astronomo, egli aveva fatta e compita l'opra secondo l'ipotesi della
commune filosofia e conforme all'istesso Tolomeo, sí che niente ci era da
desiderare; ma poi, spoliatosi l'abito di puro astronomo e vestitosi quello di
contemplatore della natura, si pose ad esaminare se questa già introdotta
supposizione da gli astronomi, e che quanto ai calcoli ed apparenze di moti a
pianeta per pianeta competentemente satisfaceva, potesse anco re vera
sussistere nel mondo e nella natura; e trovando che in maniera alcuna non
poteva essere una tale ordinazione di parti, delle quali, ben che in sé stessa
ciascuna fosse assai proporzionata, nel congiugnerle poi insieme si veniva a
formare una mostruosissima chimera, si pose, come dico, a contemplare qual
potesse realmente essere in natura il mondano sistema, non piú per il solo
commodo del puro astronomo, a i calcoli del quale già aveva satisfatto, ma per
venir in cognizione di sí nobile problema naturale, sicuro oltre a ciò, che se
alle semplici apparenze si era potuto satisfare con ipotesi non vere, molto
meglio ciò si averebbe dalla vera e natural constituzion mondana. E trovandosi
ricchissimo di osservazioni vere e reali in natura, fatte ne i corsi delle
stelle, senza la qual cognizione è del tutto impossibile conseguire una tal
notizia, s'applicò con indefessi studii al ritrovamento di tale constituzione:
e prima, invitato dall'autorità di tanti antichi uomini grandissimi, si diede
alla contemplazione della mobilità della Terra e stabilità del Sole; senza il
quale invito ed autorità per sé stesso non gli sarebbe venuto in mente tal
concetto o l'averebbe avuto, come egli confessa d'averlo avuto nel primo
apparire, per acroama e paradosso grandissimo; ma poi con lunghe e sensate
osservazioni, con incontri concordante e fermissime dimostrazioni, lo scoperse
talmente consonante alla mondana armonia, che interamente s'accertò della sua
verità. Non è, dunque, introdotta questa posizione per satisfare al puro
astronomo, ma per satisfare alla necessità della natura.
Di piú,
conobbe e scrisse nell'istesso luogo il Copernico, che il pubblicare al mondo
questa opinione l'averebbe fatto reputar pazzo dall'infinità de i seguaci della
corrente filosofica e piú dall'università de gli uomini vulgari: nulladimeno,
forzato da i comandamenti del Cardinal Capuano e dal Vescovo Culmense, egli la
pubblicò. Ora, qual pazzia sarebbe stata la sua se egli, reputando tale
opinione per falsa in natura, l'avesse publicata per creduta vera da sé, con
certezza di averne a essere reputato stolto appresso tutto il mondo? E perché
non si sarebbe egli dichiarato d'usurparla solo come astronomo, ma di negarla
come filosofo, sfuggendo con questo protesto, con laude del suo giudizio, la
nota universale di stoltizia?
Inoltre, il
Copernico apporta minutamente i fondamenti e le ragioni per le quali gli
antichi han creduto la Terra esser immobile, e poi, esaminando il valore di
ciascheduna partitamente, le dimostra inefficaci: ora chi vidde mai autore
alcuno sensato porsi a confutar le dimostrazioni confermanti una proposizione
stimata da sé vera e reale? e qual giudizio sarebbe stato il suo, di reprobare
e dannare una conclusione, mentre che effettivamente egli avesse voluto che il
lettore credesse che ei la reputasse vera? Simili incongruenze non si possono
attribuire a un tanto uomo.
(La rivoluzione scientifica: da
Copernico a Newton, a cura di Paolo Rossi, Loescher, Torino, 1973, pagg.
199-202)