Nella lettera a Matteo Carosi del
24 maggio 1610 Galilei ribadisce la validità del suo strumento di ricerca, il
cannocchiale, e delle scoperte che attraverso di esso sono state possibili, in
particolare i satelliti di Giove.
G. Galilei, A Matteo Carosi in
Parigi, 1610 Ill.re
Sig.re
Mando a V.S. l’Avviso
astronomico domandatomi da lei, acciò possa con suo comodo vederlo. Quello
che mi scrive in proposito di quello che dicono i mattematici di costí, mi
viene scritto da altre bande ancora, e fu similmente pensiero d’altri qui
circunvicini, ai quali, col fargli io vedere lo strumento e i Pianeti Medicei,
ne è rimossa ogni dubitazione. Il simile potrei fare ancora con i remoti, se
potessi abboccarmi con loro. Ben è vero che le loro ragioni di dubitare sono
molto frivole e puerili, potendosi persuadere che io sia tanto insensato, che
con lo sperimentare centomila volte in centomila stelle e altri oggetti il mio
strumento, non vi abbia potuto o saputo conoscere quegl’inganni che essi, senza
averlo mai veduto, stimano avervi conosciuto; o pure che io sia cosí stolido,
che senza necessità alcuna abbia voluto mettere la mia reputazione in
compromesso e burlare il mio Principe. L’occhiale è arciveridico, e i Pianeti
Medicei sono pianeti, e saranno sempre, come gli altri: hanno i loro moti
velocissimi intorno a Giove, sí che il piú tardo fa il suo cerchio in 15 giorni
incirca. Ho seguitato di osservargli, e séguito ancora, se bene oramai per la
vicinanza dei raggi del sole cominceranno a non si poter vedere piú per qualche
mese.
Questi che parlano, doveriano
(per fare il giuoco del pari) mettersi come ho fatto io, cioè scrivere, e non
commettere le parole al vento. Qua ancora si aspettavano 25 che mi volevano
scrivere contro; ma finalmente sin ora non si è veduto altro che una scrittura
del Keplero, Mattematico Cesareo, in confirmazione di tutto quello che ho
scritto io, senza pur repugnare a un iota: la quale scrittura si ristampa ora
in Venezia, e in breve V.S. la vedrà, sicome ancora vedrà le mie osservazioni
molto piú ampliate e con le soluzioni di mille instanze, benché frivolissime;
ma tuttavia bisogna rimuoverle, giacché il mondo è tanto abbondante di
poveretti. Non sarà piú lungo con V.S.; mi conservi la sua grazia e mi comandi.
G. Galilei, Lettere,
Einaudi, Torino 1978, pagg. 10-11