Nelle prime pagine del Sidereus nuncius Galilei
racconta come gli venne in mente di costruire un cannocchiale e di puntarlo
verso il cielo.
G. Galilei, Sidereus nuncius
Sono dieci mesi incirca, che
pervenne a’ nostri orecchi un certo grido, esser stato fabricato da un tal
Fiamingo uno occhiale, per mezzo del quale gli oggetti, benché assai distanti
dall’occhio, si vedevan distintamente come se fussero vicini; e di questo
effetto invero ammirabile si raccontavano alcune esperienze, le quali altri
credevano, altri negavano. L’istesso pochi giorni dopo fu confermato a me per
lettera di Parigi da un tal Iacopo Badovero, nobil francese; il qual avviso fu
cagione che io mi applicai tutto a ricercar le ragioni ed i mezzi per i quali
io potessi arrivare all’invenzione di un simile instrumento: la quale conseguii
poco appresso, fondato sopra la dottrina delle refrazioni. E mi preparai
primieramente un cannone di piombo, nelle estremità del quale accomodai due
vetri da occhiali, amendue piani da una parte, ma uno dall’altra convesso e
l’altro concavo: al quale accostando l’occhio, veddi gli oggetti assai prossimi
ed accresciuti; poi ché apparivano tre volte piú vicini, e nove volte maggiori,
di quello che si scorgevano con la sola vista naturale. Dopo mi apparecchiai un
altro strumento piú esatto, che rappresentava gli oggetti piú di sessanta volte
maggiori. Finalmente, non perdonando a fatica né a spesa alcuna, pervenni a tal
segno, che me ne fabbricai uno cosí eccellente, che le cose vedute con quello
apparivano quasi mille volte maggiori, e piú che trenta volte piú prossime, che
vedute dall’occhio libero. Quali e quanti siano i commodi ed usi di questo
instrumento, cosí in terra che in mare, sarebbe affatto superfluo il
registrargli. Di che accortomi allora, lasciando le cose terrene, mi rivolsi
alle speculazioni celesti: e prima veddi con esso cosí da vicino la Luna, come
se appena ci fusse distante per due soli semidiametri della Terra. Dopo questa,
con incredibile allegrezza osservai piú volte le stelle, fisse ed erranti; e
vedendole cosí spesse, cominciai a pensare sopra il modo col quale io potessi
misurare le lor distanze, e finalmente il ritrovai. Di che conviene che sia
avvertito ciascuno di quelli che applicar vogliono a simili osservazioni. È
perciò necessario, in primo luogo, che abbino un perfettissimo occhiale (quale
dal suo uso Telescopio potrà chiamarsi), che rappresenti gli oggetti chiari e
distinti, e sgombrati d’ogni caligine, e che gli mostri almeno per quattrocento
volte maggiori; imperciocché allora appariranno per venti volte piú vicini: che
se lo strumento non sarà tale, invano si tenterà di osservare tutto ciò che da
me è stato veduto in cielo, e che qui appresso andrò registrando.
G. Galilei, La prosa,
Sansoni, Firenze, 1978, pagg. 56-59