Galilei presenta la sua dottrina
sulle qualità dei corpi, che poi saranno distinte in soggettive ed oggettive.
Egli usa l’esempio del solletico per spiegare le qualità soggettive, fra le
quali include anche il calore.
G. Galilei, Il Saggiatore
Ma prima mi fa di bisogno fare
alcuna considerazione sopra questo che noi chiamiamo caldo, del qual
dubito grandemente che in universale ne venga formato concetto assai lontano
dal vero, mentre vien creduto essere un vero accidente affezzione e qualità che
realmente risegga nella materia dalla quale noi sentiamo riscaldarci.
Per tanto io dico che ben sento
tirarmi dalla necessità, subito che concepisco una materia o sostanza corporea,
a concepire insieme ch’ella è terminata e figurata di questa o di quella
figura, ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch’ella è in questo o
quel luogo, in questo o quel tempo, ch’ella si muove o sta ferma, ch’ella tocca
o non tocca un altro corpo, ch’ella è una, poche o molte, né per veruna imaginazione
posso separarla da queste condizioni; ma ch’ella debba essere bianca o rossa,
amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza
alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente
accompagnata: anzi, se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o
l’immaginazione per se stessa non v’arriverebbe già mai. Per lo che vo io
pensando che questi sapori, odori, colori, etc., per la parte del suggetto nel
quale ci par che riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente
lor residenza nel corpo sensitivo, sí che rimosso l’animale, sieno levate ed
annichilate tutte queste qualità; tuttavolta però che noi, sí come gli abbiamo
imposti nomi particolari e differenti da quelli de gli altri primi e reali
accidenti, volessimo credere ch’esse ancora fussero veramente e realmente da
quelli diverse.
Io credo che non qualche essempio
piú chiaramente spiegherò il mio concetto. Io vo movendo una mano ora sopra una
statua di marmo, ora sopra un uomo vivo. Quanto all’azzione che vien dalla
mano, rispetto ad essa mano è la medesima sopra l’uno e l’altro soggetto, ch’è
di quei primi accidenti, cioè moto e toccamento, né per gli altri nomi da noi
chiamata: ma il corpo animato, che riceve tali operazioni, sente diverse
affezzioni secondo che in diverse parti vien tocco; e venendo toccato,
verbigrazia, sotto le piante de’ piedi, sopra le ginocchia o sotto l’ascelle,
sente, oltre al commun toccamento, un’altra affezzione, alla quale noi abbiamo
imposto un nome particolare, chiamandola solletico: la quale affezzione
è tutta nostra, e non punto della mano; e parmi che gravemente errerebbe chi
volesse dire, la mano, oltre al moto ed al toccamento, avere in sé un’altra
facoltà diversa da queste, cioè il solleticare, sí che il solletico fusse un
accidente che risedesse in lei. Un poco di carta o una penna, leggiermente
fregata sopra qualsivoglia parte del corpo nostro, fa, quanto a sé, per tutto
la medesima operazione, ch’è muoversi e toccare; ma in noi, toccando tra gli occhi,
il naso, e sotto le narici, eccita una titillazione quasi intollerabile, ed in
altra parte a pena si fa sentire. Or quella titillazione è tutta di noi, e non
della penna, e rimosso il corpo animato e sensitivo, ella non è altro che un
puro nome. Ora, di simile e non maggiore essistenza credo io che possano esser
molte qualità che vengono attribuite a i corpi naturali, come sapori, odori,
colori ed altre.
Un corpo solido, e, come si dice,
assai materiale, mosso ed applicato a qualsivoglia parte della mia persona,
produce in me quella sensazione che noi diciamo tatto, la quale, se bene
occupa tutto il corpo, tuttavia pare che principalmente risegga nelle palme
delle mani, e piú ne i polvastrelli delle dita, co’ quali noi sentiamo
piccolissime differenze d’aspro, liscio, molle e duro, che con altre parti del
corpo non cosí bene le distinguiamo; e di queste sensazioni altre ci sono piú
grate, altre meno, secondo la diversità delle figure de i corpi tangibili,
lisce o scabrose, acute o ottuse, dure o cedenti: e questo senso, come piú
materiale de gli altri e ch’è fatto dalla solidità della materia, par che abbia
riguardo all’elemento della terra. E perché di questi corpi alcuni si vanno
continuamente risolvendo in particelle minime, delle quali altre, come piú gravi
dell’aria, scendono al basso, ed altre, piú leggieri, salgono ad alto; di qui
forse nascono due altri sensi, mentre quelle vanno a ferire due parti del corpo
nostro assai piú sensitive della nostra pelle, che non sente l’incursioni di
materie tanto sottili tenui e cedenti: e quei minimi che scendono, ricevuti
sopra la parte superiore della lingua, penetrando, mescolati colla sua umidità,
la sua sostanza, arrecano i sapori, soavi o ingrati, secondo la diversità de’
toccamenti delle diverse figure d’essi minimi, e secondo che sono pochi o
molti, piú o men veloci; gli altri, che ascendono, entrando per le narici,
vanno a ferire in alcune mammillule che sono lo strumento dell’odorato, e quivi
parimente son ricevuti i lor toccamenti e passaggi con nostro gusto o noia,
secondo che le lor figure son queste o quelle, e di lor movimenti, lenti o
veloci, ed essi minimi, pochi o molti. E ben si veggono providamente disposti,
quanto al sito, la lingua e i canali del naso: quella, distesa di sotto per
ricevere l’incursioni che scendono; e questi, accommodati per quelle che
salgono: e forse all’eccitar i sapori si accommodano con certa analogia i
fluidi che per aria discendono, ed a gli odori gl’ignei che ascendono. Resta
poi l’elemento dell’aria per li suoni: i quali indifferentemente vengono a noi
dalle parti basse e dall’alte e dalle laterali, essendo noi costituiti
nell’aria, il cui movimento in se stessa, cioè nella propria regione, è
egualmente disposto per tutti i versi; e la situazion dell’orecchio è accomodata,
il piú che sia possibile, a tutte le positure di luogo; ed i suoni allora son
fatti, e sentiti in noi, quando (senz’altre qualità sonore o transonore) un
frequente tremor dell’aria, in minutissime onde increspata, muove certa
cartilagine di certo timpano ch’è nel nostro orecchio. Le maniere poi esterne,
potenti a far questo increspamento nell’aria, sono moltissime; le quali forse
si riducono in gran parte al tremore di qualche corpo che urtando nell’aria
l’increspa, e per essa con gran velocità si distendono l’onde, dalla frequenza
delle quali nasce l’acutezza del suono, e la gravità dalla rarità. Ma che ne’
corpi esterni, per eccitare in noi i sapori, gli odori e i suoni, si richiegga
altro che grandezze, figure, moltitudini e movimenti tardi o veloci, io non lo
credo; e stimo che, tolti via gli orecchi le lingue e i nasi, restino bene le
figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali
fuor dell’animal vivente non credo che sieno altro che nomi, come a punto altro
che nome non è il solletico e la titillazione, rimosse l’ascelle e la pelle
intorno al naso. E come a i quattro sensi considerati ànno relazione i quattro
elementi, cosí credo che per la vista, senso sopra tutti gli altri
eminentissimo, abbia relazione la luce, ma con quella proporzione d’eccellenza
qual è tra ‘l finito e l’infinito, tra ‘l temporaneo e l’instantaneo, tra ‘l
quanto e l’indivisibile, tra la luce e le tenebre. Di questa sensazione e delle
cose attenenti a lei io non pretendo d’intenderne se non pochissimo, e quel
pochissimo per ispigarlo, o per dir meglio per adombrarlo in carte, non mi
basterebbe molto tempo, e però lo pongo in silenzio.
E tornando al primo mio proposito
in questo luogo, avendo già veduto come molte affezzioni, che sono reputate
qualità risedenti ne’ soggetti esterni, non ànno veramente altra essistenza che
in noi, e fuor di noi non sono altro che nomi, dico che inclino assai a credere
che il calore sia di questo genere, e che quelle materie che in noi producono e
fanno sentire il caldo, le quali noi chiamiamo con nome generale fuoco,
siano una moltitudine di corpicelli minimi, in tal e tal modo figurati, mossi
con tanta e tanta velocità; li quali incontrando il nostro corpo, lo penetrino
con la lor somma sottilità, e che il lor toccamento, fatto nel lor passaggio
per la nostra sostanza e sentito da noi, sia l’affezzione che noi chiamiamo caldo,
grato e molesto secondo la moltitudine e velocità minore o maggiore d’essi
minimi che ci vanno pungendo e penetrando, sí che grata sia quella penetrazione
per la quale si agevola la nostra necessaria insensibil traspirazione, molesta
quella per la quale si fa troppo gran divisione e risoluzione nella nostra
sostanza: sí che in somma l’operazion del fuoco per la parte sua non sia altro
che, movendosi, penetrare colla sua massima sottilità tutti i corpi,
dissolvendogli piú presto o piú tardi secondo la moltitudine e velocità
degl’ignicoli e la densità o rarità della materia d’essi corpi; de’ quali corpi
molti ve ne sono de’ quali, nel lor disfacimento, la maggior parte trapassa in
altri minimi ignei, e va seguitando la risoluzione fin che incontra materie
risolubili. Ma che oltre alla figura, moltitudine, moto, penetrazione e
toccamento, sia nel fuoco altra qualità, e che questa sia caldo, io non lo credo
altrimenti; e stimo che questo sia talmente nostro, che, rimosso il corpo
animato e sensitivo, il calore non resti altro che un semplice vocabolo. Ed
essendo che questa affezzione si produce in noi nel passaggio e toccamento de’
minimi ignei per la nostra sostanza, è manifesto che quando quelli stessero
fermi, la loro operazion resterebbe nulla: e cosí veggiamo una quantità di
fuoco, ritenuto nelle porosità ed anfratti di un sasso calcinato, non ci
riscaldare ben che lo tegniamo in mano, perch’ei resta in quiete; ma messo il
sasso nell’acqua, dov’egli per la di lei gravità ha maggior propensione di
muoversi che non aveva nell’aria, ed aperti di piú i meati dall’acqua, il che
non faceva l’aria, scappando i minimi ignei ed incontrando la nostra mano, la penetrano,
e noi sentiamo il caldo.
Perché, dunque, ad eccitare il
caldo non basta la presenza de gl’ignicoli, ma ci vuol il lor movimento ancora,
quindi pare a me che non fusse se non con gran ragione detto, il moto esser
causa di calore. Questo è quel movimento per lo quale s’abbruciano le frecce e
gli altri legni e si liquefà il piombo e gli altri metalli, mentre i minimi del
fuoco, mossi o per se stessi con velocità, o, non bastando la propria forza,
cacciati da impetuoso vento de’ mantici, penetrano tutti i corpi, e di quelli
alcuni risolvono in altri minimi ignei volanti, altri in minutissima polvere,
ed altri liquefanno e rendono fluidi come acqua. Ma presa questa proposizione
nel sentimento commune, sí che mossa una pietra, o un ferro, o legno, ei s’abbia
a riscaldare, l’ho ben per una solenne vanità. Ora, la confricazione e
stropicciamento di due corpi duri, o col risolverne parte in minimi
sottilissimi e volanti, o coll’aprir l’uscita a gl’ignicoli contenuti, gli
riduce finalmente in moto, nel quale incontrando i nostri corpi e per essi
penetrando e scorrendo, e sentendo l’anima sensitiva nel lor passaggio i
toccamenti, sente quell’affezzione grata e molesta, che noi poi abbiamo
nominata caldo, bruciore o scottamento.
(G. Galilei, Il Saggiatore,
Einaudi, Torino, 1977, pagg. 223-228)