Secondo Galilei la mente umana è
un’eccellente opera di Dio e come tale è in
grado di fare cose stupefacenti, in particolare nel campo della
matematica. Qui, anche se la mente umana si muove in un settore limitato, essa
è in grado di raggiungere una sicurezza
di conoscenza che “agguaglia quella divina nella certezza obiettiva”.
G. Galilei, I due massimi
sistemi del mondo
Salviati. Molto acutamente opponete; e
per rispondere all’obbiezione, convien ricorrere a una distinzione filosofica,
dicendo che l’intendere si può pigliare in due modi, cioè intensive o
vero extensive: e che extensive, cioè quanto alla moltitudine
degli intelligibili, che sono infiniti, l’intender umano è come nullo, quando
bene egli intendesse mille proposizioni, perché mille rispetto all’infinità è
come uno zero; ma pigliando l’intendere intensive, in quanto cotal
termine importa intensivamente, cioè perfettamente, alcuna proposizione, dico
che l’intelletto umano ne intende alcune cosí perfettamente, e ne ha cosí
assoluta certezza, quanto se n’abbia l’istessa natura; e tali sono le scienze
matematiche pure, cioè la geometria e l’aritmetica, delle quali l’intelletto
divino ne sa bene infinite proposizioni di piú, perché le sa tutte, ma di
quelle poche intese dall’intelletto umano credo che la cognizione agguagli la
divina nella certezza obiettiva, poiché arriva a comprenderne la necessità,
sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore.
Simplicio. Questo mi pare un parlar molto
resoluto ed ardito.
Salviati. Queste son proposizioni comuni
e lontane da ogni ombra di temerità o d’ardire e che punto non detraggono di
maestà alla divina sapienza, si come niente diminuisce la sua onnipotenza il
dire che Iddio non può fare che il fatto non sia fatto. Ma dubito, signor
Simplicio, che voi pigliate ombra per esser state ricevute da voi le mie parole
con qualche equivocazione. Però, per meglio dichiararmi, dico che quanto alla
verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l’istessa
che conosce la sapienza divina; ma vi concederò bene che il modo col quale
Iddio conosce le infinite proposizioni, delle quali noi conosciamo alcune
poche, è sommamente piú eccellente del nostro, il quale procede con discorsi e
con passaggi di conclusione in conclusione, dove il suo è di un semplice
intuito: e dove noi, per esempio, per guadagnar la scienza d’alcune passioni
del cerchio, che ne ha infinite, cominciando da una delle piú semplici e quella
pigliando per sua definizione, passiamo con discorso ad un’altra, e da questa
alla terza, e poi alla quarta etc., l’intelletto divino con la semplice
apprensione della sua essenza comprende, senza temporaneo discorso, tutta la
infinità di quelle passioni; le quali anco poi in effetto virtualmente si comprendono
nelle definizioni di tutte le cose, e che poi finalmente, per esser infinite,
forse sono una sola nell’essenza loro e nella mente divina. Il che né anco
all’intelletto umano è del tutto incognito, ma ben da profonda e densa caligine
adombrato, la qual viene in parte assottigliata e chiarificata quando ci siamo
fatti padroni di alcune conclusioni fermamente dimostrate e tanto speditamente
possedute da noi, che tra esse possiamo velocemente trascorrere: perché in
somma, che altro è l’esser nel triangolo il quadrato opposto all’angolo retto
eguale a gli altri due che gli sono intorno, se non l’esser i parallelogrammi
sopra base comune e tra le parallele, tra loro eguali? e questo non è egli
finalmente il medesimo, che essere eguali delle due superficie che adattate
insieme non si avanzano, ma si racchiuggono dentro al medesimo termine? Or
questi passaggi, che l’intelletto nostro fa con tempo e con moto di passo in
passo, l’intelletto divino, a guisa di luce, trascorrere in un istante, che è
l’istesso che dire, gli ha sempre tutti presenti. Concludo per tanto, l’inteder
nostro, e quanto al modo e quanto alla moltitudine delle cose intese, esser
d’infinito intervallo superato dal divino; ma non però l’avvilisco tanto, ch’io
lo reputi assolutamente nullo; anzi, quando io vo considerando quante e quanto
maravigliose cose hanno intese investigate ed operate gli uomini, pur troppo
chiaramente conosco io ed intendo, esser la mente umana opera di Dio, e delle
piú eccellenti.
G. Galilei, La prosa,
Sansoni, Firenze, 1978, pagg. 361-362