Howard Gardner, nato nel 1943 negli Stati Uniti da una famiglia ebrea immigrata dalla Germania, nel suo libro Formae mentis del 1983, rileva i limiti di una concezione dell’intelligenza ridotta a quella che si misura con i test e considera l’esistenza di diverse competenze intellettuali o “intelligenze umane” che possono combinarsi in vario modo in ogni individuo e il cui sviluppo è influenzato dai diversi contesti culturali, i quali tendono generalmente a privilegiare un determinato tipo di intelligenza a scapito degli altri. Da ciò deriva la necessità, secondo Gardner, di individuare strategie educative per promuovere lo sviluppo delle differenti potenzialità cognitive negli individui.
H. Gardner, Formae mentis
Una
bambina trascorre un’ora con un esaminatore. Questi la sottopone a varie
domande per poter valutare la quantità di informazioni in suo possesso (Chi ha
scoperto l’America? Che cosa fa lo stomaco?), la sua ricchezza di vocabolario
(Che cosa significa incoerente? Che cosa significa cella campanaria?),
le sue capacità aritmetiche (Se una tavoletta di cioccolato costa trecento
lire, quanto costeranno otto tavolette?), la sua capacità di ricordare una
sequenza di numeri (5, 1, 7, 4, 2, 3, 8), la sua capacità di cogliere la
somiglianza fra due elementi (gomito e ginocchio, montagna e lago).
L’esaminatore può chiederle anche di eseguire certi altri compiti, come, per
esempio: risolvere un labirinto, o disporre una serie di immagini in modo che
riferiscano una storia completa. Poco dopo l’esaminatore attribuisce un
punteggio a ciascuna singola risposta e perviene infine a ottenere un singolo
numero: il quoziente di intelligenza, o QI, della bambina. Questo numero (che
spesso viene detto alla bambina) eserciterà probabilmente un effetto
apprezzabile sul suo futuro, influendo sul giudizio che i suoi insegnanti si
formeranno di lei o sul modo in cui la valuteranno quando si tratterà di
assegnare determinati privilegi. L’importanza assegnata a questo numero non è
del tutto fuori luogo: dopo tutto, il punteggio assegnato attraverso un test
per la valutazione dell'intelligenza predice quale sarà il livello di abilità
del soggetto nell’affrontare le materie scolastiche, anche se non ci consente
affatto di predire quali risultati il soggetto otterrà invece nella vita.
Questa
situazione si ripete migliaia di volte ogni giorno, in tutto il mondo, e di
solito si attribuisce molta importanza al singolo punteggio. È ovvio che si
usino versioni differenti del test per soggetti di età diversa e in ambienti
culturali diversi. A volte il test viene somministrato con carta e matita
anziché attraverso una conversazione con un esaminatore. Ma le grandi linee –
un numero di domande a cui si può rispondere in un’ora, per ottenere una
valutazione esprimibile con un solo numero – rappresentano il modo in cui si
misura l’intelligenza in tutto il mondo.
Molti
osservatori non vedono affatto di buon occhio questo stato di cose.
Nell’intelligenza dev’esserci qualcosa che non si può ridurre a risposte brevi
a domande brevi: risposte che consentono tutt’al piú di predire un buon
rendimento scolastico; eppure, in assenza di un modo migliore di riflettere
sull’intelligenza, e di modi piú attendibili per stimare le capacità di un
individuo, questa situazione è destinata a ripetersi universalmente per
l’immediato futuro.
Ma che
cosa accadrebbe se lasciassimo briglia sciolta alla nostra immaginazione, se
considerassimo la gamma piú vasta di prestazioni che vengono di fatto
apprezzate in tutto il mondo? Consideriamo per esempio il ragazzo dodicenne
delle isole Puluwat, nelle Caroline, che è stato scelto dai suoi anziani per
diventare un maestro navigatore. Sotto la tutela di maestri navigatori esperti,
egli imparerà a combinare la conoscenza della navigazione, delle stelle e della
geografia in modo da sapersi orientare fra centinaia di isole. Consideriamo
l’iraniano quindicenne che ha imparato a memoria l’intero Corano ed è pervenuto
a padroneggiare la lingua araba. Ora viene inviato in una città santa a
studiare per vari anni con un ayatollah, che lo preparerà a diventare un
insegnante e capo religioso. Oppure consideriamo la quattordicenne adolescente
parigina che ha imparato a programmare un computer e sta cominciando a comporre
musica con l’aiuto di un sintetizzatore.
Un
istante di riflessione ci rivela che ognuno di questi individui sta conseguendo
un alto livello di competenza in un campo difficile e manifesta un
comportamento intelligente, qualunque definizione del termine intelligenza si
adoperi, purché si tratti di una definizione ragionevole. Dovrebbe essere però
altrettanto chiaro che i metodi di valutazione correnti delle capacità
intellettive non sono sufficientemente affinati per permettere di valutare i
potenziali o le prestazioni di un individuo nella navigazione con le stelle,
nella padronanza di una lingua straniera o nel comporre musica con un computer.
Il problema qui consiste non tanto nella tecnica di valutazione per mezzo di
test quanto nel modo in cui noi pensiamo abitualmente all’intelletto e alle
nostre opinioni inveterate sull’intelligenza. Solo se amplieremo e
riformuleremo le nostre opinioni su che cosa si intenda per intelletto umano,
saremo in grado di escogitare modi piú appropriati per stimarlo e modi piú
efficaci per educarlo.
In
tutto il mondo, molti studiosi di pedagogia stanno pervenendo a conclusioni
simili. C’è molto interesse per nuovi programmi (alcuni dei quali grandiosi)
che tentano di sviluppare l’intelligenza umana in funzione di una cultura
globale, di addestrare individui in capacità generali come la “conoscenza in
vista della previsione”, per aiutarli a realizzare il loro potenziale umano.
Esperimenti interessanti, che vanno dal metodo di Suzuki per imparare il
violino al metodo LO, per apprendere le nozioni fondamentali della
programmazione dei computer, si sforzano di ottenere prestazioni di buon
livello da bambini piccoli. Alcuni di questi esperimenti hanno avuto un chiaro
successo, mentre altri sono ancora nella fase di studi-pilota. È nondimeno
probabilmente giusto dire che i successi, come pure gli insuccessi, si sono
verificati in assenza di un adeguato quadro di riferimento sulle intelligenze.
Senza dubbio non esiste in alcun caso una concezione delle intelligenze che
includa la gamma di abilità che ho appena passato in rassegna. Pervenire a una
tale formulazione è l’obiettivo del presente libro.
Nei
capitoli seguenti delineerò una nuova teoria delle competenze intellettuali
umane. Questa teoria mette in discussione la concezione classica
dell’intelligenza che la maggior parte di noi ha assorbito esplicitamente
(dalla psicologia o da testi di pedagogia) o implicitamente (vivendo in una
cultura con una concezione forte ma forse circoscritta dell’intelligenza).
Perché i nuovi caratteri di questa teoria possano essere identificati piú
facilmente, in queste pagine introduttive prenderò in considerazione alcuni
fatti della concezione tradizionale: da dove sia derivata, perché si sia
imposta, quali siano alcuni fra i problemi piú vistosi che rimangono da
risolvere. Solo allora passerò a considerare le caratteristiche della teoria
revisionista che sto proponendo qui.
Per
molto piú di duemila anni, almeno a partire dall’avvento della città-stato
greca, un certo insieme di idee ha dominato le discussioni della condizione
umana nella nostra civiltà. Questo insieme di idee insiste sull’esistenza e
l’importanza di poteri mentali: capacità che sono state variamente chiamate razionalità,
intelligenza o manifestazioni della mente. La ricerca senza fine di
un’essenza dell’umanità ci ha condotti, con apparente ineluttabilità, a
concentrare il nostro interesse sulla ricerca del sapere che è cosí tipica
della nostra specie cosicché sono state particolarmente apprezzate le capacità
che hanno parte nella conoscenza.
[...]
Oggi
possono essere maturi i tempi per una qualche chiarificazione sulla struttura
della competenza intellettuale umana. Nella fattispecie, non abbiamo né un
singolo progresso scientifico clamoroso né la scoperta di un grave errore di
logica ma piuttosto il confluire di una grande quantità di materiali
provenienti da una varietà di fonti. Una tale confluenza, che è andata
preparandosi con forza sempre maggiore nel corso degli ultimi decenni, sembra
essere riconosciuta (almeno in una sorta di visione periferica) da coloro che
sono interessati alla cognizione umana. Solo di rado però, se pure è accaduto,
le linee di convergenza sono state messe a fuoco direttamente ed esaminate
sistematicamente in un’unica sede; e senza dubbio non ne è stato messo a parte
il pubblico piú vasto. Un tale confronto e comparazione è il duplice intento di
questo libro.
Nei
capitoli che seguono sosterrò che esistono prove convincenti a conferma
dell’esistenza di varie competenze intellettive umane relativamente
autonome, che indicherò in seguito in modo conciso come “intelligenze
umane”. Queste sono le forammo mentis del titolo del libro. L’esatta
natura ed estensione di ciascuna “forma” intellettiva non è stata finora
spiegata in modo soddisfacente, né è stato fissato il numero preciso di intelligenze.
Mi sembra però sempre piú difficile contestare la convinzione che esistano
almeno alcune intelligenze che queste siano relativamente indipendenti l’una
dall’altra e che possano essere plasmate e combinate da individui e culture in
una varietà di modi adattivi.
Gli
sforzi anteriori (e ce ne sono stati molti) per identificare intelligenze
indipendenti sono stati poco persuasivi, soprattutto perché si fondavano solo
su approcci parziali. “Menti” o “facoltà” separate sono state supposte
esclusivamente sulla base di un’analisi di carattere logico, o della storia
delle discipline pedagogiche, o dei risultati dei test d’intelligenza, o delle
informazioni fornite dagli studi sul cervello. Questi sforzi solitari hanno
fornito molto di rado lo stesso elenco di competenze e hanno quindi fatto
sembrare molto meno sostenibile la tesi che esistano intelligenze multiple.
Il mio
modo di procedere è del tutto diverso. Formulando la mia tesi a favore delle
intelligenze multiple, ho passato in rassegna i materiali forniti da un ampio
gruppo di fonti, che nessuno finora aveva mai messo in relazione fra loro:
studi di bambini prodigio, di individui dotati, di pazienti con lesioni
cerebrali, di idiots savants, di bambini normali, di adulti normali, di
esperti in diversi campi e di individui appartenenti a culture diverse. Un
elenco preliminare di intelligenze candidate è stato appoggiato (e, a mio
giudizio, parzialmente convalidato) da indicazioni convergenti provenienti da
tutte queste fonti. Io mi sono convinto dell’esistenza di ogni forma
particolare di intelligenza particolare ogni volta che si sia rivelato
possibile trovarla in relativo isolamento in popolazioni specifiche (o assente
in forma isolata in popolazioni altrimenti normali); che essa sia stata trovata
in forma altamente sviluppata in individui specifici o in specifiche culture; e
ogni volta che psicometristi, ricercatori sperimentali e/o esperti di
particolari discipline riescono a supporre abilità elementari che, in effetti,
definiscono una tale intelligenza. L’assenza di alcuni di questi indizi, o
della loro totalità, elimina ovviamente un’intelligenza candidata. Nella vita
comune, come mostrerò, queste intelligenze cooperano tipicamente in modo
armonico, e la loro autonomia può quindi risultare invisibile. Quando però si
inforchino occhiali appropriati, la natura peculiare di ogni intelligenza
emergerà con sufficiente (e spesso sorprendente) chiarezza.
Il
compito principale che mi sono posto in questo libro è quindi quello di addurre
tutti gli argomenti possibili a sostegno dell’esistenza di intelligenze
multiple (in seguito abbreviate come “I.M.”). A prescindere dal fatto che la
mia argomentazione risulti o no persuasiva, avrò almeno raccolto insieme vari
filoni di conoscenza che finora erano rimasti relativamente separati. Questo
volume si propone però, in aggiunta a questo, una varietà di altri obiettivi,
non del tutto sussidiari: alcuni primariamente scientifici altri soltanto
pratici.
Innanzitutto,
cercherò di estendere l’ambito della psicologia cognitiva e dello sviluppo (le
due aree a cui, come ricercatore, mi sento piú vicino). L’estensione a cui miro
guarda, in una direzione, verso le radici biologiche ed evolutive della
cognizione e, nell’altra, verso variazioni culturali nella competenza
cognitiva. A mio avviso, le visite al “laboratorio” dello scienziato del
cervello e al “campo” di una cultura esotica dovrebbero diventare parte
integrante della formazione di individui interessati alla cognizione e allo
sviluppo.
In
secondo luogo, desidero esaminare le implicazioni pedagogiche di una teoria
delle intelligenze multiple. A mio giudizio, dovrebbe essere possibile
identificare il profilo intellettivo di un individuo (o le sue propensioni) già
in età molto precoce e poi attingere a questa conoscenza per migliorare le
opportunità e le scelte pedagogiche di questa persona. Si potrebbero in questo
modo avviare gli individui dotati di talenti insoliti a programmi speciali,
cosí come si potrebbero persino escogitare protesi e speciali programmi di
arricchimento per individui che presentassero un profilo di competenze
intellettuali atipico o disfunzionale.
In
terzo luogo, spero che questa ricerca possa ispirare antropologi interessati a
problemi pedagogici a sviluppare un modello di come certe competenze intellettuali
possano essere promosse in vari ambienti culturali. Solo attraverso sforzi del
genere sarà possibile determinare se le teorie dell’apprendimento e
dell’insegnamento attraversino con facilità i confini nazionali o se debbano
essere riformulate di continuo alla luce delle particolarità di ciascuna
cultura.
Infine
– e questa è la sfida piú importante ma anche la piú difficile – spero che il
punto di vista che io esprimo qui possa rivelarsi genuinamente utile ai
pedagogisti e agli educatori, preposti allo “sviluppo di altri individui”. I
problemi dell’addestramento e del miglioramento dell’intelletto sono certamente
“nell’aria” su scala internazionale il World Development Report della
Banca Mondiale, il saggio del Club di Roma sull’apprendimento in vista del
futuro e il progetto venezuelano sull’intelligenza umana sono solo tre esempi
recenti ben noti.
Troppo
spesso le persone impegnate in sforzi di questo genere hanno abbracciato teorie
erronee dell’intelligenza o della cognizione e hanno poi sostenuto programmi
che hanno dato ben pochi risultati o si sono rivelati addirittura
controproducenti. Per aiutare queste persone, ho sviluppato un sistema di
riferimento che costruendo sulla teoria delle intelligenze multiple, possa
essere applicato a qualsiasi situazione educativa. Se il sistema di riferimento
esposto in questo libro sarà adottato, esso potrebbe almeno scoraggiare gli
interventi che sembrano condannati al fallimento e incoraggiare invece quelli
che hanno concrete possibilità di successo.
Io
considero lo sforzo affrontato in questo libro un contributo alla scienza
emergente della cognizione. In una misura considerevole, sto compendiando i
risultati delle ricerche di altri studiosi, ma, in una certa misura (e intendo
chiarire dove) sto proponendo un orientamento nuovo. Una parte delle mie tesi
sono controverse, e io mi attendo che gli esperti nella scienza cognitiva
abbiano infine anche loro qualcosa da dire.
La
parte seconda, il “cuore” del libro, è costituita dalla descrizione di varie
competenze intellettuali della cui esistenza mi sento ragionevolmente certo.
Ma, come si conviene a un potenziale contributo alla scienza, passerò prima in
rassegna (nel cap. 2) gli sforzi compiuti da altri autori per caratterizzare
profili intellettuali, e poi, dopo avere esposto le prove a sostegno della mia
teoria, sottoporrò (nel cap. 11 ) tale punto di vista a possibili critiche.
Nell’ambito del mio intento di ampliare lo studio della cognizione, in tutta la
parte seconda adotterò una prospettiva biologica e interculturale e dedicherò
inoltre un capitolo a sé alle basi biologiche della cognizione (cap. 3 ) e alle
variazioni culturali nell’educazione (cap. 13). Infine, data l’agenda
“applicata” che ho appena abbozzato, nei capitoli conclusivi del libro
affronterò piú direttamente questioni concernenti l’educazione e la sua
organizzazione.
Una
parola, per finire, sul titolo di questo capitolo. Come ho indicato, l’idea di
intelligenze multiple è una vecchia idea e io non posso certo rivendicare una
grande originalità per aver tentato di richiamarla in vita ancora una volta.
Usando la parola idea intendo in ogni caso sottolineare che la nozione
di intelligenze multiple non è certo un fatto scientificamente dimostrato: essa
è, al piú, un’idea che ha recuperato recentemente il diritto di essere discussa
seriamente. Tenuto conto dell’ambizione e dell’ampiezza di questo libro, è
inevitabile che quest’idea presenti molte manchevolezze. Quel che spero di
riuscire a dimostrare è che quella delle “intelligenze multiple” è un’idea ormai
matura.
R. Fornaca-R. S. Di Pol, Dalla certezza alla complessità.
La pedagogia scientifica del Novecento, Principato, Milano, 1993, pagg.
442-448