Garin, Giovanni Pico e la dignità dell'uomo

Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) operò il grande tentativo di dimostrare la concordia fra tutte le filosofie e tutte le religioni. In questa prospettiva organizzò a Roma, nel 1487, una discussione filosofica pubblica, “una specie di convegno internazionale di filosofi”, come scrive Eugenio Garin, che, nella pagina che proponiamo, illustra il contenuto della Oratio (discorso introduttivo) preparato da Giovanni Pico per quella occasione.

 

E. Garin, L'umanesimo italiano, III, 7

 

Composta in un momento di esaltazione religiosa, fra lo studio e il commento ai testi della gnosi ebraica e del misticismo cabbalistico, e la stesura di un trattato sull'amore e la bellezza a gara con il Ficino, l'Oratio è dominata da due temi: la centralità dell'uomo nella realtà, e la intima profonda concordia di tutte le sincere affermazioni del pensiero. Il tema piú celebre è rimasto il primo, da cui l'orazione ha preso poi il titolo De homini dignitate. La tesi pichiana è veramente notevole: ogni realtà esistente ha una sua natura che condiziona la sua attività per cui il cane vivrà caninamente e leoninamente il leone. L'uomo, invece, non ha una natura che lo costringa; non ha un'essenza che lo condizioni. L'uomo si fa agendo; l'uomo è padre a se stesso. L'uomo non ha che una condizione: l'assenza di condizioni, la libertà. La sua costrizione è la costrizione a essere libero, a scegliere la propria sorte, a costruirsi con le sue mani l'altare di gloria o le catene della condanna. [...] E l'uomo è tutto, perché può essere tutto, animale, pianta, pietra; ma anche angelo e “figlio di Dio”. E l'immagine e somiglianza di Dio è qui: nell'essere causa, libertà, azione; nell'essere resultato del proprio atto.

Questo lucido puntare su un'esistenza che contrae e risolve in sé l'essenza, che trova l'unica condizione nella propria libera scelta, e che quindi non può non concludere a una posizione dell'uomo-persona fra persone e di fronte alla Persona; che non può non sboccare a una superiorità del volere e dall'amore sull'astratto sapere: ecco l'originalità del Pico. [...] Come il Pico stesso dichiarerà in una lettera al Manuzio, perché cercare invano con l'intelletto quello che gioiosamente si può raggiungere d'un balzo con l'amore? Perché, ripeterà in versi Lorenzo de' Medici, restringere in noi Dio e non, amando, “dilatarsi” in lui?

 

(E. Garin, L'umanesimo italiano, III, 7, Laterza, Bari, 1964, pagg. 123-124)