In questo brano Giovanni Gentile (1875-1944) riconduce la
pedagogia alla filosofia. Infatti, nell’affrontare il problema fondamentale
dell’educazione, che è quello della formazione dell’uomo, si può considerare o
l’aspetto meccanico di questo processo, facendo allora riferimento alla
psicologia (in quanto “scienza dello sviluppo naturale dello Spirito”); oppure
considerare il fine a cui deve mirare questo sviluppo, e allora ci si riferirà
all’etica. Ma, osserva Gentile, i due aspetti devono comunque essere
considerati insieme. Il dualismo di filosofia ed etica non può essere superato
attraverso la riunificazione di queste due scienze nel concetto di pedagogia,
ma solo riconducendole alla filosofia che costituisce il superamento di ogni
dualismo.
G. Gentile, Sommario di
pedagogia come scienza filosofica
In tutti i tempi la filosofia s’è trovata ad avere nel suo
seno il problema dell’educazione. Il quale si presenta sempre sotto due aspetti
fondamentali, che danno luogo a due forme principali della pedagogia; ma cosí
per l’uno come per l’altro rientra di pieno diritto nel dominio della
speculazione filosofica.
Questi due aspetti del problema pedagogico corrispondono a’
due aspetti della realtà, che abbiamo piú d’una volta rilevati nell’atto
spirituale: quei due aspetti, che non sono (non occorre quasi piú avvertirlo)
due forme o facce o parti della realtà stessa ma quasi i due occhi, con cui noi
possiamo guardarla. Con uno vediamo la realtà come qualche cosa che è quella
che è come una legge che non cessa di esser legge perché ci paia dura (dura
lex, sed lex). Non è né buona né cattiva in sé; e il filosofo non troverà
ragionevole lodarla o biasimarla, gioirne o piangerne ma, come voleva Spinoza,
il piú strenuo teorico della realtà veduta con questo occhio, vorrà solo
intenderla. Con l’altro vediamo invece una realtà che si può discutere se sia o
no realizzata, se sia tutta o parte realizzata, ma che sarebbe degna certamente
di diventar realtà, e tutta realtà.
Né, per isforzi che si faccia di non adoperare altro che il
primo di questi due occhi, si può fare a meno del secondo. [...]
Né è possibile cavarsi l’occhio del fatto, dell’essere qual
è per vedere solo la bellezza dell’idea, dell’ideale, della norma dei reale, o
del reale come norma. [...]
[...] è incontestabile l’esistenza dell’uno e dell’altro
occhio, voglio dire la necessità della doppia considerazione del reale. E però
è chiaro che il concetto dell’uomo è capace di atteggiarsi a volta a volta come
l’uno o l’altro di due concetti affatto diversi: secondo che si guardi all’uomo
qual è, o all’uomo quale dev’essere. [...]
Orbene, secondo che si considera l’uomo in un modo o
nell’altro, il problema della formazione dell’uomo, che è il problema della
educazione, ha un diverso significato: perché una volta siamo innanzi a una
realtà meccanica, e un’altra volta a una realtà teleologica. La formazione
dell’uomo è, infatti, il processo dello svolgimento umano; e questo processo
può essere inteso come processo meccanico, in quanto si risolve in una serie di
effetti ciascuno dei quali dipende da una causa; e come un processo teleologico
in quanto si risolve in una serie di atti, diretti tutti a un fine.
L’astrattezza dei due concetti fa sí che l’uno non possa non essere contaminato
dall’altro: donde temperamenti da una parte e dall’altra, i quali non annullano
la tendenza diversa dei due concetti. Cosí è che la filosofia ora si è trovata
innanzi al problema: come si forma l’uomo? come si sviluppa lo spirito umano?
quali sono le leggi della formazione umana o mentale? Ed ora innanzi a
quest’altro: come si deve formare l’uomo? qual è l’uomo che dobbiamo formare?
Nel primo caso, com’è ovvio, passa in seconda linea il secondo problema; nel
secondo caso, il primo.
Chi cerchi per quali vie o mezzi l’uomo riesce uomo,
presuppone tacitamente di sapere, anzi che si sappia, e sia convenuto, che cosa
è quest’uomo, e a che mena il suo processo di formazione. Chi discute invece
del fine a cui si deve indirizzare l’educazione dell’uomo, suppone che l’altra
questione non presenti difficoltà, parendogli che basti proporsi la vera mèta,
perché si sappia senz’altro la via da percorrere. Se si dice psicologia la
scienza dello sviluppo naturale dello spirito, ed etica la scienza dei
fini a cui deve mirare questo sviluppo, il problema pedagogico ora apparirà
come psicologia, ora come etica: ma, ripeto, non mai tanto psicologia, che
questa psicologia non implichi un’etica; né, per converso, mai tanto etica, che
questa non implichi una psicologia.
Ora, si badi che, per l’avvertenza testé ripetuta, se la
pedagogia apparisce, a guardarla da un lato, una psicologia, la psicologia
sempre può essere considerata come una pedagogia (guardata, s’intende, da quel
solo lato, che è il meccanicistico). Voglio dire che, dal punto di vista
psicologico, la pedagogia meccanica e la psicologia coincidono puntualmente,
perché non c’è psicologia che possa tralasciare di considerare, come fatto
psicologico quella idealità etica che abbiamo detto essere implicita nella stessa
pedagogia psicologica: di guisa che questo non è un carattere integrativo della
psicologia specificamente pedagogica. E cosí, d’altra parte, l’etica,
supponendo sempre un certo concetto dell’anima proporzionato ai fini che essa
teorizza, coincide anch’essa interamente con la pedagogia etica.
Ma fu un mero artifizio dell’Herbart, caduto affatto nel
vuoto, quello di riunire ecletticamente psicologia ed etica nel concetto di
pedagogia, concepita come la scienza che si serva delle cognizioni psicologiche
per la formazione dell’uomo alla virtú. A parte la scorrettezza gnoseologica
del concetto di praticità introdotto nel concetto di una scienza (scorrettezza,
che apparirà meglio qui appresso), l’unificazione della psicologia con l’etica,
concepite le due discipline, come le concepisce Herbart, l’una fuori
dell’altra, l’una come la scienza della pura causalità psichica, l’altra come
scienza dei fini, l’unificazione vera non è possibile per la semplice ragione
che quella psicologia ha la sua etica dentro di sé, incompatibile con quella
etica con cui essa pedagogicamente si dovrebbe integrare; e dicasi altrettanto
dell’etica.
Prima dell’Herbart e dopo, nella storia della filosofia,
questo problema gnoseologico della pedagogia non è stato preso in
considerazione mai. Eppure una trattazione sistematica, ossia rigorosamente
orientata e coerente, della dottrina dell’educazione non è possibile se non si
viene a capo della questione intorno alla sua natura. [...]
Ma la soluzione di questo problema pedagogico non avrebbe
potuto esser data da una filosofia incapace di superare il dualismo di
psicologia ed etica, poiché s’è visto che la pedagogia è psicologia per un
verso ed etica per l’altro. E diciamo dualismo di psicologia ed etica, per
usare i due termini che dal principio del secolo passato (da Herbart in poi)
sono in campo in tutte le definizioni della pedagogia. Ma si può egualmente
dire ogni dualismo, in cui si rappresenti in genere l’illustrata opposizione di
quel che è e di quel che dev’essere: fatto e valore, causalità e fine, natura e
spirito, legge e norma spirituale, necessità e libertà, ecc. Viceversa, la
soluzione è già data quando la filosofia abbia superato siffatti dualismi.
Quando si sia capito che non c’è psicologia che non sia etica, né etica che non
sia psicologia, che non c’è fatto che non sia l’instaurazione d’un valore, né
causa che non sia posta dal suo effetto, né natura che non si spiritualizzi, né
necessità che non sia la stessa assoluta autodeterminazione dello spirito
(autoctisi). Allora non c’è piú una psicologia e un’etica tra cui scegliere:
c’è la filosofia, e s’impone il concetto che la pedagogia è la filosofia.
G. Gentile, L’attualismo, a
cura di G. Brianese, La Nuova Italia, Firenze, 1995, pagg. 82-85